domenica 29 gennaio 2006

Me lo ricordo ancora, quei ricordi che ti si piantano in testa come chiodi e che ritrovi - neanche un po' arrugginiti - dopo anni ed anni. Stavo uscendo su Piazza Istria, quando la radio trasmise la notizia della morte di Borsellino. Mi si fece intorno un silenzio surreale, come Alla luce del solese per un attimo fossi scivolato in un interstizio immobile. Appena un'ombra di quello che deve aver provato don Puglisi ascoltando la stessa notizia alla televisione, quel pomeriggio. Dev'essere per questo che quella scena del film mi è piombata addosso come un macigno: per me era "solo" l'ennesimo segno della tragedia italiana, un'eco di situazioni conosciute di sponda, analizzate intellettualmente, niente di vissuto; eppure mi ha lasciato svuotato, impotente... Per lui era il primo rintocco, ma non ha abbassato la testa, forte della forza dei giusti. Preferisco pensare ai giovani cui ha fatto da esempio e alla pace che doveva avere nel cuore nonostante tutto piuttosto che guardare all'oggi osceno del nostro paese. Gran film, fatto di non detti e belle interpretazioni, quando poteva rischiare lo sdegno didattico o la denuncia urlata. Urlano già in troppi, la dignità muore in silenzio.
Match PointSto leggendo di nuovo L'isola del tesoro e non sono riuscito a sottrarmi al fatidico saggio introduttivo, che - tanto per cambiare - mi offre però un buono spunto per discorrere di questa ultima visione Pare che una delle critiche più spesso rivolte all'opera di Stevenson sia la mancanza di spessore, quello che l'autore del saggio definisce "subtextual matter". Ecco, questo non è decisamente il caso di Match Point! Appena oltre la trama evidente guizzano stimoli, fantasmi, livelli di lettura che ne rendono l'esegesi un lavoro tutt'altro che semplice, che meriterebbe però un'attenzione diversa da quella di un post, per quanto articolato. Cmq, visto che una delle possibilità interpretative incide direttamente su parecchie cosette che ho già pubblicato qui, mi dedicherò a qualche riflessione in proposito. Il film tende alla tragedia: non in senso figurato, ma classico di composizione sul fato e il suo giocare con le vite degli uomini. Tra le battute chiave, proprio all'inizio, nel commento sul match point, ce n'è una che suona più o meno "La fortuna terrorizza gli uomini", perché sbatte loro sul viso la loro totale (o quasi, va'!) assenza di controllo sulle proprie vite e perché è assolutamente amorale. Nel dialogo con i morti (topos tragico per eccellenza) il tennista macerato dichiara che sarebbe giusto che venisse scoperto e condannato, poiché questo
Scarlett Johansonrestituirebbe al mondo una minima possibilità di giustizia e coerenza, cosa che - ahimé! - non è... Il problema, però, è altrove: è nella pretesa che il mondo si muova a norma di ideali, magnifici per carità, ma che gli stessi uomini che li hanno concepiti disprezzano e tradiscono quotidianamente, su scale diverse
, ma formalmente identiche. La realtà, ben lungi dall'essere razionale o teleologica, semplicemente è, cosa che i Greci avevano compreso alla perfezione, tanto da poter ragionare in termini di equilibrio dinamico tra gioia e dolore. Come afferma Colli, "quando un pezzo di vita sottratto alla pena controbilancia tutto il resto, il pessimismo è vinto" e il conto è paro, si potrebbe aggiungere. Circostanza che noi occidentali, intrappolati nell'idea di colpa - e quindi di responsabilità totalmente personale per i comportamenti e le conseguenze - non riusciamo neanche lontanamente a concepire. L'impronta giudeo-cristiana richiede necessariamente l'inferno e la sua scomparsa dal senso comune, assieme al purgatorio, racconta una storia che andrebbe disvelata, cui Match Point accenna, nella sofferenza priva di riscatto del lestofante salvato dalla sorte e nella complessiva assenza di leggerezza e gioia di vivere. Poi si potrebbe parlare dell'incosciente ferocia di classe dei giovani Hewitt, delle tracce letterarie e musicali (le prime che puntano tutte verso il tragico, Dostojevskij, Strindberg, Sofocle), della scrittura dei dialoghi e delle espressioni degli attori... Direi che per il momento basta così.

venerdì 27 gennaio 2006

LeonTanto per cominciare una nota di colore: io A-D-O-R-O Jean Reno e in seconda battuta ho una memoria filmica che fa acqua da tutte le parti. Le due cose potrebbero non apparire connesse, se non fosse che della mia prima visione di questo film non ricordavo assolutamente nulla, cosa peculiare visto il protagonista... Mah, saranno cose che capitano! Cmq devo ammettere che la faccenda ha un pregio: il piacere della scoperta, unito ai soliti accostamenti ex post: La piccola Natalie Portman, a 12 anni già in odore di Closer ; uno strepitoso e schizzatissimo Gary Oldman; un viso da serial come Michael Badalucco (avvistamento professional dovuto a Pam :o), ora in The Practice. E se posso dire, chissenefrega se in effetti la storia non sta in piedi neanche col nastro adesivo e i personaggi sembrano quelli di un fumetto, privi di storia se non a sprazzi! In questo caso il film è al di là della logica narrativa: è nella sua logica, assoluto da preoccupazioni di coerenza o di morale, aperto verso il racconto grafico (che fumetto dopotutto è démodé) e il teatro dell'assurdo. Leon beve solo latte, passa la giornata a curare una pianta insulsa e a fare addominali tra una missione e l'altra, e allora? Te ne accorgi solo alla fine e trovi, per di più, che sia una circostanza che ti assolve da rischi di identificazione o complesse analisi introspettive. Perché mai dovresti voler essere come uno che trasloca in tempo reale, non ha ammennicoli di sorta cui dire addio (tranne la pianta!), sarebbe potenzialmente ricco, se gliene importasse qualcosa e non sa chi è Madonna? O no? *grin*

lunedì 23 gennaio 2006

Ritratto di Mallarmé di Manet
Altro gran momento, Parigi seconda metà XIX secolo! Gente che si incontra per parlare, per discutere, per farsi ritrarre da amici, gente che si chiama Manet, Monet, Mallarmé, Baudelaire, Poe, gente così Che poi ti lascia storie di sé in tante forme diverse, che a vederle oggi, ottenebrati da jpg, tiff, mpeg e tutte le altre nostre fregnacce, sembrano roba di un altro mondo. E lo sono, solo che quello che non è più chiaro è se fosse un mondo migliore
Foto di Maneto peggiore. Certo, vedere lo stesso soggetto come bozzetto a matita, acquaforte, acquatinta, litografia o quadro fa un discreto effetto. Ti parla di maestria, di passione e di voglia di sperimentare, di scoprire dove puoi arrivare per esprimere quella cosa che ti gira in mente e nella quale vedi molto più di quanto non sembri, un torero morto, un ritratto di donna, una chitarra e un cappello. E di nuovo un intreccio, lasco ma pur sempre lì, con un pittore incontrato per caso ad Amsterdam l'anno scorso, un suo quadro riaffiorato dalle strade del mondo per portare anche a Roma il verde incredibile del mare che Manet sapeva trarre dalla sua tavolozza,
Canto di giardino di Manetmesso lì accanto ad altre azzurrità, tutte radiose, radianti, pervase di luce. E allo stesso tempo materiali, concrete, come le lame di rame ancora inchiostrate, le pennellate dense. Pissarro ha detto di lui "Sapeva trasformare il nero in luce"... Un ingegno irrequieto, quasi schizoide nel variare stile e tecnica, donnaiolo, polemista, ardente, tanto da morire a cinquant'anni. Un gran bel tipo e la solita invidia per un'arte e un tempo in cui il miracolo della luce e dello spiraglio che trovava nei quadri era affare di cose e colori, e mani sapienti.
Le rondini di Manet

domenica 22 gennaio 2006

Prendimi l'animaC'è sempre un tempo per le cose, circostanza che la nostra cultura pare aver dimenticato, pervasa com'è dalla logica del consumo programmato e senza requie. Così per il film di questo pomeriggio, in attesa da parecchio del momento giusto e che si è infine andato a incastonare nell'ennesima corrente di avvenimenti piccoli e grandi: l'inizio di sistematizzazione di un interesse di lungo corso per Jung, intrecci di letture e segni dei più svariati, una nuova ipotesi di gioco online che si giova anch'essa di questa primavera dello spirito... Insomma, il famoso attimo del carpe diem nella sua accezione meno banale! Va quindi abbastanza da sé che Prendimi l'anima non mi sia affatto dispiaciuto, a prescindere da eventuali (e possibili, per carità) semplificazioni di sceneggiatura e infedeltà assortite. Uno Jung forse troppo umano, ma necessariamente tale, esempio lampante della sproporzione hillmaniana tra uomo e demone, piegato alle conseguenze dei suoi gesti e all'inevitabile coinvolgimento; lo scherzo della sorte che ha fatto morire Lenin anzitempo; la creatività come via regia al divenire uomini. Molti stimoli, direi, e immagini notevoli, come il ritratto in pietra del briccone divino, che se la ride - incurante della mutilazione - delle piccoli tragedie umane dello psicologo!

lunedì 16 gennaio 2006

Alien vs PredatorQuando si scrive, niente di meglio di una cazzatona stellare per interrompere il flusso delle elucubrazioni  Se poi si tratta di un prodotto ben confezionato, con effetti speciali (che sono il contenuto del film, dopo tutto) veramente notevoli e un ammiccamento neanche troppo velato a tematiche "serie" come riti di iniziazione e ipotesi parascientifiche sul passato della Terra, beh, direi che si può esserne soddisfatti! Certo, credo che l'astronauta di Palenque sia decisamente più inquietante, sebbene il CICAP - nel suo coerente tentativo di razionalizzare tutto ciò che gli capita a tiro, perché il mondo con qualche mistero gli fa schifo  - ritenga si tratti della solita bufala, ma non è che si possa avere tutto dalla vita *lol* Devo
L'astronauta di Palenquespezzare una lancia a favore dei progettisti e disegnatori dei mostri: i Predator sono veramente notevoli, l'ennesima incarnazione dell'archetipo dell'eroe guerriero. Oddio, diciamo che sono meglio quando si tengono l'elmo in testa, ma comunque... 
Ora, per [Canetti] una delle caratteristiche della massa è che esacerba la potenzialità di ogni individuo di metamorfosarsi. La metamorfosi è essenzialmente la possibilità "di trasformarsi in ogni cosa" o di "trasformare tutte le cose". Atteggiamento magico se ve n'è uno, particolarmente pertinente per comprendere le diverse metamorfosi che hanno luogo negli affollamenti sportivi, musicali, religiosi o politici. Così, imitando l'altro, entro in comunione con l'entità collettiva di cui sono parte e con l'universo del quale, insieme, si rimette mimeticamente in scena la creazione. Vi è senz'altro una "potenza", nella massa, che supera l'individuo e lo rende membro di un "genius" collettivo, genio che, al modo della divinità, crea la società nel suo ambiente naturale e sociale.

M. Maffesoli, La transfiguration du politique, Paris, La table ronde, 2002, pp. 220-221.

Quasi non vale la pena di sottolineare come questo passaggio maffesoliano leghi le ultime cose che ho postato in un'ulteriore dimensione di significato e di riflessione. Anche l'antica angelologia conosce gerarchie di angeli e diversi livelli d'essere e l'affiorare ricorsivo di un termine ne tradisce il bisogno e il potenziale esplicativo...

venerdì 13 gennaio 2006

Leggo un trafiletto di Enzo Siciliano sull'Espresso 52/2005 (p. 145) a proposito della nuova traduzione delle Metamorfosi di Ovidio e non posso fare a meno di citarne un passo:

Non c'è sosta alle trasformazioni. Questa certezza, testimoniata attraverso una serie di esemplificazioni colte sul ritmo incessante dell'esametro, sembrerebbe anche mettere in questione il fondamento del pensiero classico, il principio di identità aristotelico. Ciò che sensibilizza la poesia di Ovidio è l'impossibilità a concepire che "A" sia sempre uguale ad "A". Interviene la passione di un Dio, la sua ira, la sua lussuria, il suo senso di pietà, il suo orgoglio ed "A" diventa un'altra cosa, cambia sostanza, aprendosi il mondo a un'illimitata libertà.

Il testo è lievemente modificato - corretto, direi - a causa del pressappochismo imperante ormai in ogni dove, che permette raramente di leggere una pagina libera da refusi o errori veri e propri. Resta tuttavia una lettura limpida che, al di là del contenuto iniziatico dei versi di Ovidio, ne identifica un livello di lettura sul quale è vitale ricominciare a riflettere.

lunedì 9 gennaio 2006

Prima di tutto non direi che ognuno di noi ha un angelo, né custode, né altro, perché nel nostro immaginario resta poco della potenza sovrumana e della numinosità che connotavano originariamente il termine. Oggi pensiamo a creature diafane e piumate, compassionevoli, umanamente stucchevoli... Direi perciò che ognuno di noi ha un demone compagno e qui, stavolta, è il verbo a darmi da riflettere: possesso vuol dire controllo e quindi dominio e noi non controlliamo in alcun modo il demone. Possiamo al limite opporci al suo volere che, però, paradossalmente è il nostro - siamo bravissimi a metterci i bastoni tra le ruote. Ma, ancora a monte, è la necessità linguistica che mi obbliga a parlare dei due come di entità separate ad essere problematica: non c'è un uomo e un demone, ma manifestazioni sincroniche dello stesso essere su piani diversi, dotate di coscienze diverse e a tratti - solo a tratti, fortunatamente - coincidenti. Il demone è l'intuizione oscura della potenzialità che prende forma, il senso interno della coerenza al destino.

Ho sempre distinto tra vocabolo e parola e credo che la distinzione sia del Leopardi. Trovare una parola significa penetrare nel buio abissale di sé senza turbarne né riuscire a conoscerne il segreto.


G. Ungaretti

Quando non si è perso il senso della meraviglia e del valore delle parole, scrivere è faticoso



    Gentile
    Ettore Serra
    poesia
    è il mondo l'umanità
    la propria vita
    fioriti dalla parola
    la limpida meraviglia
    di un delirante fermento

    Quando trovo
    in questo mio silenzio
    una parola
    scavata è nella mia vita
    come un abisso


G. Ungaretti, Commiato

domenica 8 gennaio 2006

Million Dollar BabyUn grande film. Scarno ed essenziale come un ciottolo di fiume. Elegante, costellato da interpretazioni magistrali, schivo davanti all'uso facile e diffuso delle sequenze da lacrime - quando pure potrebbe ricorrervi senza alcuna difficoltà - riesce a narrare una storia inattuale per chi ancora ha voglia di sentirne. Una storia di passione, di sacrificio, di abnegazione, di dignità nascosta in una palestra scrostata, tra quelli che uno sguardo affrettato giudicherebbe relitti umani. Eastwood è un bell'esempio di quello che Hillman chiama "carattere", l'esito complesso di un percorso lungo una vita, accettato nella sua difficoltà e ricchezza come le rughe profonde che porta sul viso. E questa è una storia di Bildung piallata all'osso da tutte le cazzate che si possono dire in proposito, molto al di là della figura della "occasione della vita", che pure affiora a tratti. È la storia di una chiamata e delle sue conseguenze, di una porta aperta e di quello che c'è dietro, senza colpa per nessuno, perché né l'allenatore, né l'atleta sono i protagonisti, ma sono i segni del demone. Ed è proprio l'adempimento della chiamata che permette alla campionessa infranta di andarsene serena e in pace, pur nella rovina, e le dà pieno diritto di invocare una fine degna per un'avventura che lo è stata. Il tema dell'eutanasia è affrontato con lo stile di tutto il film e dell'uomo, ma resta un grido, che chiede dignità contro il mito miope cui è sufficiente vedere un corpo che respira per vedere la vita!
Se è vero che il complesso dell'Io tende a presentarsi come il solo esistente in noi, chi è in me che prova a volte un vivo fastidio per le sue fisime e pretese?

giovedì 5 gennaio 2006

Natural CityE sì, stavolta sono proprio d'accordo con MyMovies.it: "'Finisce l'era di Blade Runner, inizia il mito di Natural City': però, niente male, due baggianate in una sola frase non è cosa di tutti i giorni…" Da una parte non vedo alcuna fine al vecchio, splendido Blade Runner - visto che tra l'altro questa sembra una variazione moscia sul suo tema; dall'altra spingersi a definire "mito" Natural City pare eccessivo anche per il marketing - un po' come uno che dice che "se c'è un imprenditore che non ha confuso, non confonde e non confonderà la politica con gli affari questo è Berlusconi"... Insomma, spunto interessante: di nuovo un'esplorazione di un futuro in cui ci si può innamorare anche di un cyborg e di nuovo, anche se in un altro continente, l'affastellarsi di trame un po' troppo slegate, stavolta peggiorato da un montaggio che a tratti ottiene effetti notevoli - in particolare nei combattimenti - e a tratti litiga con il jog della moviola, ricercando soluzioni che però sfuggono. Stendiamo un velo sulla colonna sonora, degna di un porno anni '70. Utile per una ricerca sull'immaginario artificiale, meno per una serata soddisfacente.

P.S. Oggi pomeriggio Radio Rai 1 ha mandato in onda una mia intervista su quel libretto che ho scritto *grin*Chi volesse sentirsela è pregato di cliccare qui

martedì 3 gennaio 2006

The AviatorCominciare l'anno con un raffreddore che non esiterei a definire cimurro lascia formulare ipotesi sul 2006 nient'affatto lusinghiere sin da subito È anche vero, tuttavia, che è solo sfruttando casi come questo che riesco a dedicare tre ore del primo pomeriggio a un film (a casa, dico, il cinema è un altro discorso *grin*) senza troppi patemi. Se poi la buona sorte dei primi d'anno mi serve anche un piatto che altrimenti non avrei consumato, causa un saldo pregiudizio verso il buon Leonardo, beh, quasi quasi ci si può stare! Sebbene tipi come Howard Hughes non rientrino granché nelle mie corde, il film è decisamente un grande film, uno dei capitoli di una storia immaginaria che sorvoli quae in medio positae. Cast commovente, nel quale svetta quella che a mio gusto è la più bella del cinema contemporaneo, Cate Blanchett - nonché tra le più brave - nei panni di Katharine Hepburn, in compagnia di Kate Beckinsale, John C. Reilly e altri gran bei nomi. E una regia degna del nome del regista, Martin Scorsese, che rende le quasi tre ore dell'impresa leggere come gli aeroplani dell'aviatore folle!

lunedì 2 gennaio 2006

DodgeBallPrimo post del nuovo anno, ma ultimo film di quello vecchio Dopo i massacranti preparativi per una bella festa di Capodanno con coincidente compleanno - lavoraccio quindi! - cosa c'è di meglio di una cazzatona rilassante e a tratti francamente divertente? Niente, si direbbe. Storiella senza nessuna pretesa con due attori simpaticissimi, Vince Vaughn e Ben Stiller, e una creatura assai piacevole allo sguardo, Christine Taylor, scorre via senza alcun problema, sfruttando tutti i noti trucchi comici del genere, ma con un bel ritmo. Da segnalare l'aria "not politically correct", molto rinfrescante, che si materializza emblematicamente nella crudezza del cameo di Lance Armstrong. Sì, proprio quello del Tour de France, che dopo questo mi ha riguadagnato parecchi punti *grin*