lunedì 28 agosto 2006

Boys Don't CrySe Hilary Swank ogni tanto girasse pure una commedia non si offenderebbe nessuno, però Va bene che in un recente articolo l'hanno praticamente definita l'assassina del sogno americano, a proposito di Million Dollar Baby, ma non sapevo fosse una recidiva! Tratto da una storia vera, Boys Don't Cry non fa che confermare il mio scarsissimo entusiasmo verso l'aspetto "vero" degli States, questi posti lontani da tutto come Falls City, da cui andar via è difficile come dalle sabbie mobili e dove la violenza è sempre in attesa di esplodere. Non che, a rigore, stavolta la scusa non fosse perfetta: quale minaccia peggiore per degli ego non particolarmente in forma di una donna che si spaccia per uomo e per giunta ruba loro il gioiello del branco? Aspettative e fiducia tradite, orrore per il diverso, tonnellate di pregiudizi, disordine esistenziale generalizzato. La regia è all'altezza di questo buco nero e il film, tra certezze di catastrofe e sprazzi di possibile happy ending, vola via, generando un discreto disagio. Ci sono anche Chloë Sevigny,vista qualche tempo fa in Palmetto, e Peter Sarsgaard, visto molto più di recente in Garden State. Film da vedere.
Teo sul depressoMi pare che lo scarso entusiasmo del peloso qui accanto sia evidente: da quando si è leccato via diversi punti dalla ferita alla zampa gira così, col collare elisabettiano, e mi guarda come se fosse colpa mia! Ma dico: quello che casca dal tetto è lui, se non erro, costandoci una vacanza e parecchie risorse economiche *sigh* Cmq, dato che mi sono dovuto trasformare in apprendista veterinario o paraveterinario che dir si voglia, continuo nella politicaSeven Swords dei piccoli passi e scrivo una brevissima nota di un film in cui siamo inciampati sabato sera: Seven Swords. Ora, mi sembra improbabile che il montatore e il regista fossero entrambi perennemente ubriachi: ne deduco, a parziale giustificazione, che il non-detto che regge il film non mi appartiene, né credo appartenga alla gran parte del pubblico occidentale. Il che spiega l'indulgere su particolari apparentemente insignificanti, la difficoltà di seguire la trama, i comportamenti difficilmente condivisibili di molti dei personaggi. La critica dotta italica, scopro, ne è entusiasta, almeno la poca consultata, e devo ammettere che alcuni tratti sono veramente belli: coreografie di duelli, scenari mozzafiato, caratteri. Nel complesso, però, un film che al cinema mi avrebbe fatto inca**are non poco per la spesa del biglietto, anche se il grande schermo forse avrebbe aiutato Secondo me, cmq, con Hero non c'è paragone!

giovedì 24 agosto 2006

Dogtown And Z-BoysChissà... A essere nati un pugno d'anni prima e dall'altra parte del mondo, forse non saprei un accidenti di sociologia, ma avrei milioni di dollari e sarei una star dello skate Boh, i famosi scherzi del destino, dei quali mi ha appena messo a parte un paio di pellicole di cui avevo sentito parlare, ma che non mi erano ancora capitate a tiro. La seconda, in cui siamo inciampati oggi pomeriggio al ritorno dall'odissea del recupero di Teo, il gatto infranto (che ora dorme come un ghiro in un quartierino appositamente arredato per proteggerlo da se stesso), è quella qui accanto, la migliore delle due. Un bel docufilm sul momento di grazia che ha portato alla genesi dello skate moderno, girato da uno dei suoi protagonisti ora anche regista di talento, Stacey Peralta. Grande montaggio e splendidi materiali, in particolare le foto che hannoLords Of Dogtown creato e descritto l'epopea degli Z-Boys sulle pagine di Skateboarder. In special modo, freschi dell'altra pellicola - di nuovo qui accanto - impressiona la somiglianza del cast della fiction con i veri protagonisti, una di quelle cose in cui gli americani sono assolutamente imbattibili. Si tratta di una storia liberamente tratta dal documentario, che restituisce l'atmosfera del periodo e disegna un ritratto desolante dell'ambiente nel quale i giovani fenomeni si sono trovati catapultati dalla loro bravura: uomini con occhialoni, macchinone, catenone, puttanone e via discorrendo, di quelli che cascano a faccia avanti in una fiamminga di coca, seminano biglietti da 100 dollari camminando e mi riempiono di una tristezza abissale. A volte anche pena. C'è però da dire, in omaggio ai 16 milioni di grigi, che anche da un giro del genere riescono a saltar fuori i famosi fiori di cui parlava De André, tipo il nostro regista oppure Jay Adams, uno che dei soldi non ha mai sentito il fascino, nonostante tutto. Tra l'altro presenze interessanti nel cast: Rebecca de Mornay, segnata ma sempre bella, e un'altra interpretazione notevole di Heath Ledger, qualche anno dopo A Knightìs Tale, assolutamente imperdibile, e pochi mesi prima di Brokeback Mountain, del quale viceversa si può fare tranquillamente a meno.

lunedì 21 agosto 2006

Punto di non ritornoBene, hanno operato il peloso fratturato oggi pomeriggio: dopo esser sopravvissuto a un salto dal quinto piano, una semplice placca alla tibia non l'ha turbato neanche un po' e quindi presto mi dedicherò, con animo più leggero, al record delle vacanze Per l'intanto, si smaltiscono videocassette giacenti in attesa da qualche tempo (e non definisco "qualche" per un certo senso di ritegno ). Il capolavoro di stasera era nella stessa cassetta di quello di ieri, Virtuality, in una strana programmazione della 7 in omaggio alla scorsa Festa della Donna. Di nuovo un cast niente male, con Laurence Fishburne intento alle prove generali di Matrix, Sam Neill nella parte dello scienziato psicopatico (per la quale ha senza dubbio il phyisique du rôle) e Joely Richardson ancora vergine di Nip/Tuck e in splendida forma. Trama niente di che, anche se con buona tensione e discreti salti sulla sedia: da un punto di vista cinematografico, una serata trascorsa piacevolmente, da un punto di vista immaginale potrebbe essere un buon testo per l'immaginazione della macchina. Quello che già ricordavo ieri, il fatto cioè che non si riesca a creare un futuro di convivenza pacifica con la tecnologia, è senza dubbio diventato un tema di genere - anche se questo non fa che confermarne il potenziale immaginale - ma si dà di volta in volta con simboli ed elementi diversi. In questo caso il Caos regna sovrano. La capacità scientifica di usare niente meno che un buco nero per i viaggi interstellari porta dritti all'inferno, con mutilazioni orribili, sangue a fiotti e una serie di ambienti in cui il tono medievale è incredibile! Effetti speciali già decenti - bella l'implosione della Event Horizon nell'atmosfera di Nettuno - e il buio dentro che esplode con cieca violenza. Decisamente di che riflettere...

domenica 20 agosto 2006

Lo so che mi si invita a pubblicare qualche foto delle vacanze, soprattutto quest'anno che ce ne sono di decenti grazie alla Coolpix acquistata su EBay Lo so, ma per circostanze poco divertenti non ho tempo né voglia: uno dei pelosi qui accanto ha trovato modo di cadere dal tetto (V piano) fratturandosi in più punti e facendoci probabilmente saltare la prima vacanza sarda della mia vita. È ricoverato da venerdì mattina e dovrebbero operarlo domani, ragionThe Quiet American per cui... *sigh* Mi limiterò a tenere aggiornata la lista delle visioni e poi, a cose fatte e spirito sollevato, tornerò a pensare alle montagne. Anyway, due film in qualche modo archeologici: il primo, The Quiet American, perché tratta di un periodo remoto sul quale non ci si è mai soffermati granché, il Vietnam pre-conferenza di Ginevra e le prime intromissioni americane, già allora sconsiderate ma in nome della democrazia. Uno splendido Michael Caine e una bella atmosfera che riporta alla fine del dominio coloniale quasi con qualche nostalgia, vista la crudeltà e il cinismo di ciò che oggi ha sostituito quelle strategie. Il secondo film, Virtuality, è invece archeologico per tutt'altro motivo: del 1995, è una delle primeVirtuality esplorazioni del terreno cyborg/nanotecnologie. Cast notevole - Denzel Washington e Russell Crowe - effetti speciali tanto ingenui da fare tenerezza e ancora pesanti contaminazioni visive con la sci-fi. Una costante è che il frutto della creazione tecnologica è un bastardo psicopatico fatto e rifinito, segno che la nostra immaginazione non riesce a convincersi della particolare bontà delle scoperte della tecnologia di punta o riconosce che l'uomo di oggi non è poi così diverso da quello di un paio di millenni fa

mercoledì 9 agosto 2006

AliasAccidenti quante cose ci sarebbero da dire Difficile dare un ordine e pertanto devo scegliere così, sull'onda dell'emozione. E la prima cosa che mi viene in mente è: ma ti pare a te che le scene conclusive della quinta serie conclusiva di Alias devono accadere al Subasio??? Che per me, clerico errante, è sinonimo di file pazzesche per lavori, esami a Foligno e pioggia a ettolitri? Posso anche capire che per l'americano medio Mount Subasio faccia esotico - e questo mi ricorda uno splendido verso dei Jethro Tull: "Everybody is from somewhere / Even if you've never been there" - ma uno che è appena appena familiare con la sua configurazione a panettone come può non mettersi a ridere quando si ritrova gli agenti Sidney Bristow e Michael Vaughn intenti a inerpicarsi per pendii innevati, in piena tormenta, con uno sfondo irto di cime che neanche l'Himalaya? E quando la bella (si fa per dire, non mi è mai piaciuta ) Jennifer Garner si cala per un crepaccio degno diJennifer Garner in Alias Jules Verne e arriva in una specie di sgabuzzino di macelleria degno di Ed Wood, col ghiaccio fatto di gommapiuma con tanto di pieghe della fodera? Stenderei un velo pietoso sullo chalet sommerso nella neve a Siena per arrivare alla domanda centrale: ma Rambaldi c'era o ci faceva? E il fottutissimo Orizzonte a che sarebbe dovuto servire? Un veggente del Cinquecento, in odore di immortalità (c'è da riflettere sul fatto che ha reso i suoi servi immortali ma lui si è fatto tumulare zitto zitto in Mongolia... Non aveva trovato niente di più vicino, si vede *sigh*) che anticipa i migliori risultati della ricerca scientifica attuale e non sa farci niente di meglio che cose che distruggono l'universo mondo. A suo modo anche Alias costituisce un bell'esempio di immaginazione notturna e nemica del Progresso a tutti i costi, nonostante l'impiego sfrenato di tecnologie vere, verosimili o ridicole (tipo Balle spaziali, non so se ricordate ). Bah, tutto sommato mi mancherà questa pirotecnia di ca**ate e soprattutto mi mancherà il babbo di Sidney, Jack Bristow, detto Er tazzina per la vistosa recchia a sventola. Resta in ultimo da chiarire cosa passi per il cervello ai programmatori di Rai 2, che da due anni bruciano le stagioni di una serie che potremmo definire di culto in tempi e con modalità a dir poco suicide: sempre tra luglio e agosto, al ritmo di tre episodi per sera. Se i creatori della serie sono stati più volte strani, i responsabili del palinsesto Rai li hanno battuti senza nessuna difficoltà
Arvin Sloane in Alias
P.S. Povero Sloane, che fine atroce vivere per sempre sessanta metri sotto il suolo mongolo! Sembra quand'ero all'oratorio... neanche uno spettro per chiacchierar: azzurro, il pomeriggio è troppo azzurro e lungo per me... *grin*

lunedì 7 agosto 2006

Riprendiamo le sane abitudini, va' Fine della prima parte delle vacanze e, in attesa di connettere la fotocamera via wi-fi e avere le La mia vita a Garden StateFuochi d'artificiofoto del regno di Fanes, un breve resoconto dei film in cui sono inciampato nel frattempo. L'opera seconda del buon Pieraccioni fa parte di quelle cose che trasmettono dopo dieci anni nelle sere d'estate sui pochi canali che si vedono tra le montagne e che, dopo una giornata trascorsa sulle montagne stesse, vedi con tutta un'altra filosofia Pellicola divertente ma che tutto sommato avevo fatto bene a perdermi fino adesso. Quest'altro, invece, lo consiglio: opera prima di Zach Braff, noto soprattutto per essere uno dei protagonisti di Scrubs, ha il grande pregio di essere un lavoro di regista giovane con un ritmo riflessivo e non tagliato su sequenze da 5 secondi. Inanella situazioni a-s-s-o-l-u-t-a-m-e-n-t-e assurde e gode di un'ottima colonna sonora. E infine la rentrée diSquadra 49 stasera: due buone interpretazioni, con un John Travolta come sempre ineccepibile e Joaquin Phoenix che si riscatta dall'antipatia del Gladiatore. Alcune liti col buon senso, ma d'altra parte spesso non facciamo i conti con quello che tutto sommato sappiamo benissimo, perciò perché crocifiggere qualcuno che lo fa in modo appena più evidente? Un rientro non è mai affare troppo divertente, anche se ci sono buone prospettive di ripartenza a breve, affogarlo in un film è sempre una buona idea...