sabato 29 marzo 2008

Adaptation - Il ladro di orchideeUn labirinto borgesiano fatto film. Uno scoppio di genialità inadattabile a canoni o etichette di sorta. Un'oscillazione perenne tra mondo interiore e mondo esterno, tra gradi di invenzione, tra gradi di rappresentazione. Chiaramente difficile da definire, serpeggiante nel ritmo come nella felicità della riuscita, come d'altronde è la vita. Nicolas Cage è strepitoso, in un doppio ruolo che resta per quasi tutto il film in bilico tra l'allucinazione e la realtà; Meryl Streep è perfetta nella transizione adattiva dalla scrittrice di successo all'assassina psicopatica e gli altri sopportano lo stress della vicinanza dei due mostri sacri con classe, in particolare Chris Cooper, lo sdentato e affascinante ladro del titolo. Direi che transizione, oscillazione, adattamento sono le parole chiave per avvicinarsi a questa pellicola, impegnativa ma prodiga di spunti in ogni dove, dalle citazioni dal libro che si suppone debba venire adattato dallo sceneggiatore Charlie Kaufman (proprio lui, quello vero, di Essere John Malkovich, che rappresenta se stesso nel disperato tentativo di adattarsi al compito), agli accostamenti visuali e simbolici, al registro più ampio della palude esistenziale che affligge anche i VIP: lo stesso Kaufman, i sociopatici lavoratori dell'industria del cinema, la scrittrice di successo. I fari della storia sono il ladro e il gemello di Kaufman, anche lui sceneggiatore: quelli che si adattano, che ce l'hanno nei geni - come avrebbe detto Darwin, che occhieggia per tutta la pellicola in flashback o dalle copertine di libri e cassette - che lo fanno spontaneamente come tutte le altre creature del pianeta. Uomo escluso, ovvio. E c'è un altro crinale da considerare: quello tra evoluzione cieca e ragione interna, tra istinto modellato dall'ambiente e la sopravvivenza ed energia interiore che spinge incessantemente verso una chiamata, una passione, vista lucidamente come strumento d'eccellenza capace di ricondurre il mondo a una dimensione gestibile e appagante. Occorre però stare attenti a non sbilanciarsi anche in questo, perché il discrimine tra sprone ideale e ossessione è labile e realizzare i propri sogni può non essere una buona idea, come la metafora dell'orchidea fantasma spiega eloquentemente. Ridurre sì, ma con juicio, si potrebbe dire...
Orchidea fantasma

venerdì 28 marzo 2008

La democrazia si fonda sul controllo dell'apparato di potere da parte dei controllati e, con ciò, riduce l'asservimento (determinato da un potere che non subisce la retroazione di coloro che sottomette); in questo senso, la democrazia è più che un regime politico; è la rigenerazione continua di un anello complesso e retroattivo: i cittadini producono la democrazia che produce i cittadini [...]. Poiché esige nel contempo consenso, diversità e conflittualità, la democrazia è essa stessa un sistema complesso di organizzazione e di civilizzazione politiche: alimenta e si alimenta dell'autonomia intellettuale degli individui, della loro libertà d'opinione e di espressione, del loro senso civico.

E. Morin, I sette saperi necessari all'educazione del futuro, Milano, RaffaelloCortina, 2001, pp. 113; 115.
Deviant Art

lunedì 24 marzo 2008

BoratNon dirò "tanto rumore per nulla", ma certo mi viene da pensarlo... Un film strano, a mezza strada tra candid camera e docufilm, che pare possa definirsi mockumentary, ossia documentario che sfotte, ma che - a parte luminosi momenti - lascia perplessi. Il passaggio da situazioni effettivamente live a momenti palesemente fiction è disordinato e invece di entrare in un'oscillazione di fase virtuosa spesso e volentieri annulla i rispettivi effetti in una sensazione generalizzata di fastidio. Sacha Baron Cohen resta ammirevole, per la faccia di bronzo e la sensibilità bastarda che scova ogni microfrattura nel perbenismo ovvio per aprirvi una voragine. Sul format invece c'è parecchio da discutere: il reporter kazako in viaggio negli USA per infilarsi nelle mutandine di Pamela Anderson avrebbe forse potuto fruttare di più con un diverso montaggio e un altro equilibrio di elementi. È cmq un film per palati forti: la rissa col collega kazako e l'inseguimento nudi, lui brandendo un dildo molto particolare, è terribile e memorabile

sabato 22 marzo 2008

Blood Diamond - Diamanti di sangueMa bene! Mi sto trasformando in un fan di Leo, non c'è che dire e credo di averne tutte le ragioni! Eccolo di nuovo - si fa per dire, ritardo cosmico nella visione, stavolta *sigh* - nei panni di un discreto SoB rhodesiano ex-soldato, mercenario, contrabbandiere di diamanti e chi più ne ha si accomodi, che si trova, volente o nolente, trascinato in una Bildung cinematografica di notevole intensità, a riprova che un action movie non dev'essere necessariamente privo di ogni contenuto, ma si può tentare una miscela intrigante. Come questa. Azione, poco sesso ma grande magnetismo con la bella Jennifer Connelly, molto materiale su cui riflettere. O del quale venire semplicemente a conoscenza, che in questo tempo di rara ignoranza è già un bel passo avanti. C'è anche un livello immaginal-simbolico di notevole interesse, perché com'è facile intuire la posta in gioco è costituita da diamanti, pietre di enorme fascino dovuto alle peculiari caratteristiche fisiche ed estetiche: purezza, durezza, trasparenza... Potrebbero definirsi ragione fatta pietra e come tale inumana... e affascinante. A parte queste quote speculative rarefatte, i diamanti sono protagonisti di una storia contraddittoriale (e anche la contraddittorialità umana è tematizzata e affrontata con classe nel film): pegno del desiderio e promesse di amore eterno costruite a tavolino da scaltri industriali pronti alla conquista di un mercato di massa reso accessibile per la prima volta dalle nuove tecnologie estrattive (il famoso slogan "Un diamante è per sempre" è del 1947), il suo costo viene mantenuto altissimo attraverso un'attenta politica di offerta, che spinge i gestori del cartello a far incetta di ogni esemplare grezzo. Lo sanno bene rivoluzionari e banditi di ogni sorta che su questo commercio costruiscono fortune e inferni, riducendo in schiavitù migliaia di malcapitati e alimentando la guerriglia con bambini plagiati a suon di slogan e stupefacenti in mostri sanguinari.
Una scena di Blood Diamond
All'uscita del film, la De Beers - che chissà perché si è sentita chiamata in causa - ha speso qualcosa come 12 milioni di dollari per acquistare spazi pubblicitari in cui ha informato popolo e paese che Blood Diamond è una storia vecchia, alla quale è stato posto rimedio. Circostanza chiarita anche al termine della pellicola, in cui si dà notizia del Kimberley Process che dal 2003 dovrebbe impedire traffici simili a quelli descritti. Sembra che Edward Zwick e Leo da una parte, lo stesso cartello dei trafficanti in diamanti dall'altra non ci credano granché...

sabato 15 marzo 2008

007 Licenza di uccidereSì, il suo nome è Bond, James Bond, ed è un uomo che non deve chiedere. Mai Da quando ho visto Casino Royale mi è venuta una botta di nostalgia per il vecchio Sean e per un tuffo in un mondo meno complicato, senza cellulari, DNA, scene del delitto e intercettazioni sofisticate. Un mondo proprio come questo, con un agente segreto di HMQ Elisabetta II che va in giro con una semplice Walters 7,65 e una Venere/Ursula Andress che sboccia dalle onde con un due pezzi da antologia e un pugnale. E basta. Che relax, gente che sparisce per giorni interi senza che nessuno si preoccupi o possa fare qualcosa, misure antiintrusione limitate al classico capello sull'anta dell'armadio e borotalco sulla serratura della valigetta! Chi è che parla di progresso? Ne vogliamo discutere, almeno un po'? James è sempre impeccabile, miete vittime erotiche a ogni piè sospinto neanche fosse Supersex e non ha un attimo di dubbio sulla giustizia della sua causa e sulle sue capacità di portare a casa la pellaccia. La perfezione dell'eroe moderno. Ogni tanto è terapeutico, in questo tempo di dubbi, incertezze e opzioni onnipresenti, tornare a vedere come eravamo 45 anni fa. Già, è il 1962, manco ero nato e pare un'altra era

venerdì 14 marzo 2008

Pillole *Cryptorchid

Perché si possa parlare di "caduta di stile", è necessario che uno stile preesista...

Il fatto che la Parmalat abbia continuato a funzionare nonostante l'assenza di Alì Baba Tanzi e i 40 ladroni suoi collaboratori dimostra chiaramente una cosa: la gran parte dei manager non solo non serve, ma è nociva e parassitaria.

domenica 9 marzo 2008

ApocalyptoLa cosa saggia è attendere. Lasciare che venga il momento giusto. E ieri sera pare lo fosse per Apocalypto, film verso il quale nutrivo seri pregiudizi. La precedente prova di Mel Gibson - attore peraltro che mi sta assai simpatico, nonostante radicali divergenze di Weltanschauung - mi aveva lasciato piuttosto perplesso: c'era qualcosa di malato nell'indulgere in una violenza gratuita e stolta, il secondo tempo non reggeva le aspettative create dal primo e sprecava delle idee geniali, come l'affiorare a tratti del demonio e la tensione spaesante della scelta linguistica.
Ieri però sentivo che sarei stato equanime e credo di aver avuto ragione. Secondo me è un film notevole, per certi versi estremo, ma più controllato dell'altro, meno viscerale. Gibson attinge a piene mani a un immaginario col quale ha un evidente rapporto di amore/odio: ha un'idea nostalgica della condizione umana, almeno per quanto riguarda le potenzialità fisiche, e potrebbe perfino aver ragione. Ci stavo ripensando dopo la lunghissima scena dell'inseguimento - roba da Superman! - e mi è tornato in mente un romanzo letto parecchi anni fa, L'Azteco, di Gary Jennings, autore noto per un'eccellente preparazione storica preliminare dei suoi lavori, dove il protagonista correva letteralmente per giorni di fila e si lasciava intendere che per quel tempo e luogo era la norma... E' certo - e posso affermarlo con cognizione di causa - che oggi non abbiamo in genere la più pallida idea delle risorse del nostro corpo: quando mi trovo a riguardare la strada percorsa in un giorno di trekking sono il primo a restarne stupito Cmq, a parte questi voli pindarici, il ritmo, le scelte di regia, l'uso della violenza sono efficaci e coinvolgenti, il rinnovato uso di idiomi "impossibili" crea un magnetismo improbabile ma potente e le due ore abbondanti vanno via senza peso. A tratti la narrazione è talmente fisica che ti trovi a rifare i gesti del protagonista, Zampa di Giaguaro, sulla poltrona, come se nelle sabbie mobili ci fossi tu: era da Doom che non mi capitava!
Resta il sospetto che il buon regista l'abbia vista come un'apologia dei conquistadores che, visti i Maya, hanno quasi fatto bene a sterminarli... La questione è spinosa ed è una chiave di lettura che  riecheggia anche in altri contesti, meno connotati di questo. Stento però ad accettare l'idea che una civiltà al tramonto meriti il genocidio, soprattutto per mano di un pugno di avventurieri senza scrupoli, e che Dio c'entri qualcosa. Preferisco prendere atto dell'alternativa proposta da Gibson come se non sapessi chi è e godermi un momento di grande cinema.
Una scena di Apocalypto

sabato 8 marzo 2008

Mimose in fiore
E' il primo anno che sento il bisogno di celebrare anch'io la Festa della Donna, ricorrenza che ho superficialmente considerato obsoleta, datata, ipocrita etc. etc. La cosa mi rattrista e solleva ad un tempo: mi rattrista perché constato quanto illusorie siano le "conquiste" che diamo immediatamente per scontate e acquisite, invece di continuare a batterci perché si inverino al di là delle parole; e quanto sia inscritta nella nostra mente la prospettiva mitica del Progresso, alla luce della quale solamente aveva un senso la sicumera con cui, contro ogni lezione della Storia, abbiamo affrettatamente dato per conseguito il miglioramento culturale e intellettuale, per pacificato il territorio di certi diritti. Mi solleva perché vedo l'illusione con serenità, come inevitabile alla luce dell'errore che ora riconosco, come riconosco il suo subdolo presupposto e smetto di immaginarmi nello scorrere virtuoso di un flusso inarrestabile. Sono cresciuto e la cosa ha dei lati positivi, alcuni almeno...
Non è un 8 marzo dei migliori, per altri versi, profondamente e tristemente collegati all'età adulta, ed è per questo che ho pensato di unire all'auspicio della venuta di un tempo in cui dell'8 marzo non ci sia realmente più bisogno l'omaggio a una donna che di questi argomenti si è sempre fatta emblema, Annie Lennox, anche se la canzone che ho scelto ha altri motivi e, oggi, il sapore di un'elegia. Eurythmics, 17 again.

Yea though we venture through
The Valley of the stars
You and all your jewelry
And my bleeding heart

Who couldn't be together
And who could not be apart
We should've jumped out
Of that airplane after all
Flying skyways overhead
It wasn't hard to fall

And I had so many crashes
That I couldn't feelAnnie Lennox
At all...

Chorus
And it feels like
I'm 17 Again
Feels like I'm 17

Times might break you
Godforsake you
Leave you burned and bruised
Innocence will teach you
What it feels like to be used

Thought that you'd done everything
You didn't have a clue

Repeat chorus

Looking from the outside in
Some things never change
Yeah yeah hey yeah hey yeah
Flying highwards seems like yesterday

All those fake celebrities
And all those viscious queens
All the stupid papers
And the stupid magazines

Sweet dreams are made of anything
That gets you in the sea

Repeat chorus

Yes
17 17 Again
Yeah yeah yeah yeah

Sweet dreams are made of this
Who am I to disagree
I travel the world and the seven seas
Everybody's looking for something
Yeah
The Time Has Come - Deviant Art

lunedì 3 marzo 2008

Il petroliereNon solo giri un film di tre ore, sulla cui opportunità ho serissime riserve, ma dai anche l'incarico di comporre la colonna sonora a un pazzo scriteriato!?! Meriti la fucilazione, magari di spalle, tanto per aggiungere lo sfregio Il film di ieri sera ha suscitato in me reazioni contraddittorie: da una parte scuoierei Jonny Greenwood, chitarrista dei Radiohead, per aver concepito una cosa che ti spinge a più riprese a mollar lì tutto e andar via, magari a cercarlo *grrrr* e darei volentieri due schiaffoni al regista, Paul Thomas Anderson, già prodottosi in Magnolia e ancor prima, con eccellente risultato, in Boogie Nights. Dall'altra darei l'Oscar a Daniel Day-Lewis (ah sì, già fatto *grin*) e farei un monumento al direttore della fotografia, Robert Eslwit, anche "responsabile" di Good Night and good Luck, al limite darei l'Oscar pure a lui (ah sì, già fatto anche questo). In quest'opera fluviale, che poteva senza difficoltà farsi più maneggevole perché non è che la lunghezza in sé sia segno di qualità, alcuni momenti risaltano come capolavori a parte, dei ritratti di pura scuola fiamminga di Daniel Plainview: quando fissa l'incendio che distrugge la prima torre eretta sul giacimento che ne farà la fortuna e segnala la ricchezza di questo; quando chiacchiera a notte col fratello attorno a un fuoco e la luce è veramente solo quella delle fiamme, gli attori silhouette a malapena distinguibili se non per un guizzo inatteso e subito spento; quando discute, alla fine, con il figlio ormai grande e l'oscurità che porta dentro è lì, orribile come un abisso nel teschio. Ho detto scuola fiamminga, sì, ma capovolta: lì la luce magnificava, qui è l'ombra che domina e la luce non fa che marcarne lo spessore, l'allargarsi canceroso. Peccato per aver solo sfiorato il film epocale... Sono invece favorevolmente colpito dalle scelte della giuria di Hollywood, con cui negli ultimi anni mi trovo spesso in sintonia: spero che voglia dire che sono loro che stanno cambiando, altrimenti...

sabato 1 marzo 2008

Non è un paese per vecchiA essere sincero non sono mica così convinto della veridicità dello strillo qui accanto. È vero che non ho visto gli altri concorrenti all'Oscar e quindi a far paragoni potrebbe aver ragione; ricordo però che l'anno scorso, alla fine di The Departed, non ho avuto il minimo dubbio sul fatto che meritasse la famosa statuetta (che poi a onor del vero gli hanno dato ). È poi vero che in effetti è un gran film, coraggioso e disperato come solo l'alleanza tra i fratelli Coen e la desolazione magistrale di Cormac McCarthy poteva garantire e che gli interpreti sono notevoli. Anche qui però... non so, è come se mancasse qualcosa. Ma devo ammettere che forse stavolta sono più realista del re, che questo è un film che scavalca e annienta parecchi luoghi comuni del cinema. Non c'è un protagonista come ce lo immaginiamo: dai titoli di testa e coda si direbbe che sia Tommy Lee Jones, del quale ho già detto tutto il bene possibile per Le tre sepolture di Melquiades Estrada, che ha in effetti anche l'onore di aprire il film come voce narrante sui panorami immobili e immensi del Texas e di chiuderlo. Lo svolgersi del racconto sembra però suggerire che il vero protagonista sia Josh Brolin, intenso e caparbio. Suggerimento che non convince fino in fondo, però. Discorso a parte per Javier Bardem, uno dei miei attori preferiti, che per No Country for old Men si è portato a casa un'altra statuina dorata; questo sembrerebbe dimostrare che lui è un attore non protagonista, eppure... La cosa è molto strana, anche perché ho letto di recente una sua intervista su L'espresso, dove afferma di non aver avuto intenzione di impersonare l'ennesimo killer spietato che uccide senza Javier Bardem in No Country for old Men una ragione. Eppure ci vuole un certo sforzo per intendere che Anton Chigurh uccida a ragion veduta: sembra uno psicopatico che risponde a un suo codice insondabile, senza investire il gesto di particolari significati. Oppure ci si può sbilanciare nell'esegesi e, raccogliendo una messe di piccoli indizi disseminati qua e là, scorgere dietro il suo viso chiuso e roccioso il Destino nei suoi aspetti di Necessità e Morte, che incede inarrestabile e alieno in una cultura che non sa più riconoscerlo e che ha smarrito ogni tipo di bussola. Direi che questo è il metatesto della spigolosa pellicola dei Coen, dove non c'è altra colonna sonora che il soffiare arido del vento del deserto, dove la macchina da presa indugia a lungo su volti segnati e raramente alleviati da un sorriso: c'è una tempesta in arrivo e i tempi sì che sono cambiati dall'epopea del western, tanto che non c'è da aspettarsi niente di buono dal futuro, né vale la pena di continuare a opporsi alla marea montante. "Quando nessuno dice più grazie e per favore è finita" afferma lo sceriffo Bell poco prima di andare in pensione, un uomo sconfitto che sogna di fuochi lontani in una notte fredda... Riflettere a posteriori aiuta: adesso, tutto sommato, penso che l'Oscar se lo meriti eccome!
No Country for old Men - panorama