sabato 25 febbraio 2012

Che bello! Ma veramente, una meraviglia! Era da tanto che un film non mi prendeva così, fisicamente, soprattutto grazie all'interpretazione magistrale di Colin Firth. Che, devo ammettere, finora non mi aveva mai fatto impazzire, ma dopo questo calvario ha la mia stima imperitura :) Sono spossato io, dopo averlo seguito in questo incubo che man mano si realizza, posso appena figurarmi cosa abbia voluto dire per lui vestirlo, viverlo. In gran parte, ma non solo: anche la regia stavolta merita una menzione, cosa che da un po' mi riesce difficile. Tom Hooper si merita un applauso a sé, per la qualità pittorica delle scene, per il montaggio, per aver resistito ai cliché del periodo con primi piani spogli, teatrali, con un ritmo perfetto per la sincope continua del discorso. Stranamente mi trovo del tutto d'accordo con gli Academy: o peggioro io, o migliorano loro :D E prima di un'osservazione al volo, ancora chapeau per Geoffrey Rush e Helena Bonham Carter, che quasi non riconoscevo con un trucco normale, entrambi fantastici; e anche per lo UK Film Council che vuoi o non vuoi è sempre lì, impelagato nella produzione di ottimi film; ci rifletterei, a essere un qualche personaggio italiano coinvolto nella settima arte...

Al volo, dicevo, che per le mazzate notturne basta Ciottoli :) eppure non riesco a trattenermi dal notare come Il discorso del re sia una perfetta esemplificazione dell'idea di dipendenza sensibile dai dati iniziali; la dimostrazione cioè che piccole cose hanno immense conseguenze. E per molti versi: una divorziata americana rischia di gettare i popoli liberi nel caos e nella distruzione, il figlio di un birraio australiano li salva; la storia più o meno li dimentica, ma senza questa farfalla da down under forse non saremmo qui a scrivere... I grandi eventi scaturiscono spesso da piccole cose, ma noi ci incaponiamo a voler essere grandi o fare cose grandi, anche se poi - quando ci tocca essere grandi - vorremmo essere altrove e certe volte, come il fratello maggiore di Bertie, ci andiamo persino. Siamo cose buffe, noi uomini :)

domenica 12 febbraio 2012

Locandina anni '50 per un film stile anni '50, dai colori anni '50, ambientato però ai giorni nostri. Stephen Frears secondo me ha delle difficoltà col suo tempo e non è neanche da dire che non lo possa capire :D Il film però non ne risente, è una commedia liscia liscia, da godersi senza soverchie fatiche mentali, ma con un paio di momenti di gran classe, come ad esempio la seduzione batteristica della bella Tamara. Anche i suoi short di jeans, tuttavia... lol Al di là e a prescindere da tutto, cmq, gran protagonista è il Surrey e la tenuta dove un pugno di scrittori più o meno devastati riparano in cerca di ispirazione! A sentire una delle due sole adolescenti del posto - comprensibilmente sfavata - sarà pure il "buco di culo del nulla", ma per qualcuno un tantino più maturo potrebbe essere un sogno ad occhi aperti :)

venerdì 10 febbraio 2012

La parabola stanotte non ne voleva sapere :) E meno male, così si alleggerisce un minimo l'HD del povero MySky, che ultimamente sta facendo gli straordinari! Nulla di particolare da segnalare in effetti, tranne una considerazione al volo sulla famosa sindrome di Peter Pan, che viene più o meno spontanea dato l'argomento della mini serie (o film tv, comincia a essere difficile capirlo). Si tratta infatti del prequel della celebre favola, come tutto cominciò. A essere sincero, non è un grande inizio... Il buon Peter sembra avere il tocco di Mida al contrario, dove mette le mani fa una strage! All'ennesima catastrofe gli anziani del popolo di Campanellino lo maledicono per un quarto d'ora e lo condannano all'innocenza che nel frattempo ha tradito e svilito in ogni modo possibile. Sempre a fin di bene, per carità, ma con risultati devastanti. A vederlo così, più che altro il giovane volante è un'allegoria della cultura moderna, compresa l'innocenza posticcia che oggi si è tramutata in infantilismo e fuga da ogni tipo di responsabilità. Direi una visione utile ai molti che insistono a far rivoltare il povero Pascoli nella tomba *grin*

giovedì 9 febbraio 2012

Ero partito per andare a vedere ACAB, giuro! Poi spulciando film e orari ho visto che ero ancora in tempo per The Artist, di cui avevo sentito recensioni amicali da urlo, e così... E direi proprio che non sono pentito, neanche un po' :) Al di là della godibilità assoluta del tutto - il protagonista, Jean Dujardin, è fa-vo-lo-so! E il suo cane non è da meno - è un film a spirale, ergo non potevo non adorarlo. E poi, per motivi estetici, non poteva non esser visto al cinema. Già dalla prima scena il labirinto, la vertigine sono lì: tu al cinema guardi una platea che guarda un film, muto, con tanto di orchestra dal vivo (nel film, ovviamente :); la ripresa si sposta e sei dietro lo schermo insieme all'attore principale che aspetta la fine della pellicola per una sortie trionfale e intanto se la gode. La prospettiva geniale fa sì che lui sembri essere nel film che osserva, creando un trompe-l'oeil che dà la cifra dell'intera opera. Il suo problema, di George Valentin cioè il protagonista, è che è un attore del cinema muto, all'apogeo al momento dell'avvento del sonoro. E qui di nuovo un tocco di maestria assoluto: Valentin ha un incubo in sonoro, dove lui è l'unico a essere muto, mentre tutto fa rumore. E vi giuro che l'effetto, in una sala mimeticamente silenziosa, è incredibile, capace di far riflettere parecchio su un sacco di convenzioni con cui siamo cresciuti - quelle stesse che hanno portato dei poveri spettatori innocenti a chiedere il rimborso quando hanno scoperto che The Artist era muto sigh

Quisquilie a parte, c'è da riflettere sull'idea di progresso e le prassi che ne derivano. Dal 1927 al 1929 c'è - si diceva - l'avvento del sonoro e gli attori del muto scompaiono, superati dall'innovazione. Ora, gli stilemi, le modalità del muto sono tutt'altra cosa, un'altra forma espressiva: il problema, in un approccio perennemente aut/aut, è che il loro essere precedenti li condanna alla dismissione e all'oblio; la convivenza non è pensabile neanche in termini di linguaggi diversi all'interno dello stesso medium... Anche se, decenni dopo, la dimostrazione - a parte i poveretti di cui sopra - dell'errore di questo approccio è proprio il film che riscatta quelle forme e quei limiti in quasi due ore di puro entertainment, di classe, di ricerca, di amore per l'arte cinematografica, di commozione. Oltre a quest'altro caleidoscopio, c'è dell'altro sociologico interessante. Valentin è l'artefice inconsapevole del trionfo di una nuova star, interpretata da Bérénice Bejo, che poi - nell'ennesima spirale - sarà la sua salvatrice. Le schiude la carriera con un tocco quasi impercettibile, una matita da trucco con cui aggiunge al suo bel viso un neo. Imperfezione zen, ma soprattutto azione minima dagli esiti immensi ed imprevedibili, dipendenza sensibile dai dati iniziali. Una bella forma di karma per uno che, nella disgrazia, non è mai rancoroso, ma riesce a sorridere quasi fino all'ultimo. Un gran bel personaggio, un gran bel film. Chapeau a Michel Hazanavicius.

lunedì 6 febbraio 2012

Una grande serie la riconosci quando ti prende e non ti molla finché non hai visto come va a finire. E meno male che la terza stagione di Torchwood è solo di 5 puntate, altrimenti probabilmente sarei ancora incollato al televisore :) Tutto strano con questo serial: ho cominciato a vederlo praticamente per sbaglio dalla IV stagione e dopo un primo smarrimento ci sono cascato dentro! Ottima regia, notevoli i protagonisti e le trame... Oh le trame! Un dibattito etico perenne pieno di adrenalina e trovate intriganti, come a dire una lezione di sociologia nascosta e divertente *lol* Certo, ci vuole forse un minimo di esplicitazione, ma nel complesso direi che è piuttosto evidente l'intento critico e polemico. Coll'episodio 3x04 ci farò lezione appena possibile, tanto per chiarire cosa intendo quando dico che la ragione è fondamentalmente una prostituta... E di nuovo una produzione BBC. Che dire, attendo con pazienza che la nostra misera RAI ci proponga qualcosa che si avvicini almeno un po' al cocktail di Chtulhu, Guida intergalattica per autostoppisti e Stephen King che ho visto ieri sera, ma ho l'impressione che il cinese stavolta dovrà aspettare parecchio sigh



venerdì 3 febbraio 2012

Ti si chiariscono un sacco di cose. Soprattutto però quello che colpisce è l'ironia, in larga misura involontaria. Che un social network venga fondato e portato a successo planetario da un totale incompetente emotivo. Assenza di empatia, rancore più o meno consapevole, deserto di legami amicali: il fondatore di Facebook sembra uno degli uomini vuoti di Eliot, anche se non credo che il poeta pensasse di star tracciando l'identikit del modello di successo del primo XXI secolo... Si chiariscono cose, dicevo. L'uso poco ortodosso del termine "amicizia" nel network in questione, ad esempio, anche se forse sarebbe meglio parlare di amicizia 2.0, della nuova versione riveduta e corretta che - per carità! - non è colpa di Facebook, ma lì raggiunge chiarezza e riconoscibilità, come l'ossessione spirituale dell'Occidente si dà a vedere in Cartesio. A parte tutto, però, quello che lascia di stucco, in questa storia, è che non è win/win, come spesso si dice oggi che l'ottimismo è di prammatica, e neanche win/lose. È semplicemente lose/lose. Il vincitore è solo, lontano anni luce dalla felicità e leggerezza che i suoi soldi dovrebbero garantirgli, almeno nella vulgata corrente così dura a morire; gli esponenti dei vecchi modi d'essere - le varianti culturali direi, fondate sull'onore e sull'etica dell'amicizia - pur potendosi pensare vincenti trasmettono un desolante senso di inanità, di inadeguatezza. Piccoli uomini per tragedie cosmiche, avrei messo come sottotitolo.

mercoledì 1 febbraio 2012

Sto leggendo un giallo, questo qui accanto. Niente di che, in effetti, narrativa d'evasione anche se l'inglese è piuttosto impegnativo, tanto per ricordare che la lingua è viva ed evolve e va tenuta sempre a bada :) C'è però un aspetto della cosa interessante, perfino inquietante a non volerla prendere a ridere: l'autore del libro è un personaggio della fiction, lo scrittore Richard Castle dell'omonima serie televisiva. Non sto dicendo che la serie si basa su questo romanzo, come per esempio in Bones. Dico che nella serie il personaggio scrive romanzi ispirati alla sua esperienza con la polizia di NY e questo è uno di quelli, in un rimando borgesiano a biblioteche transdimensionali e ad un intreccio destabilizzante tra realta e virtualità che dà da pensare (vedi Eugenio, non si finisce mai lol). Certo, è anche una furbissima strategia economica, ma l'idea in sé è geniale, perché talmente ricca di rimandi da non rimanere assolutamente nella semplice sfera economica, da causare una vertigine... Non c'è che dire, viviamo in tempi interessanti :D