sabato 6 aprile 2013

J. Edgar vs Spiderman

Per quanto Clint Eastwood e Leo DiCaprio mi piacciano veramente tanto, J. Edgar mi ha lasciato piuttosto perplesso. Non è solo la strana qualità del trucco che, soprattutto col progredire della storia e l'invecchiare dei personaggi, li trasforma in maschere di plastilina più che in esseri umani - e sul perché ci si potrebbe interrogare; non è solo la difficoltà di empatizzare con un personaggio molto lontano dalle mie simpatie. Credo sia il disagio che genera la crescente consapevolezza che molti tratti della cultura attuale sono stati modellati e accentuati da psicopatici. Perché difficilmente J. Edgar può definirsi diversamente, oltre ad essere ipocrita e piccolo da altri punti di vista. Eppure ha dotato l'FBI, sua creatura, di procedure e mezzi che oggi appaiono ovvi, adeguati. Ha visto l'importanza della scienza applicata e dell'elaborazione statistica. E il fatto che fosse così... strano, come depone verso questa sensazione di ovvio? Stesso problema che si affaccia quando si consideri Frederick Taylor, il maggior responsabile della svolta organizzativa e razionalizzante che caratterizza (soffoca?) la stessa cultura: un uomo che dedicava gran parte delle sue risorse creative a trovare modi per non cadere dal letto di notte, quand'era regolarmente assalito da incubi. Stupisce che volesse avere tutto sotto controllo? Quello che stupisce di più è che una cultura intera abbia aderito a questa ossessione, facendola propria e spingendola sempre più in là, accoppiandola alla pretesa di performatività e di guadagno sempre e comunque, sempre maggiore, senza alcun pensiero alle conseguenze e ai costi. Temo ci sia da pensarci su.


Sembra piuttosto evidente, da quanto scritto sopra, che la sfida del titolo la vinca uno dei miei supereroi preferiti, lo stupefacente Uomo Ragno :) E non solo perché questo - che è in effetti l'ennesimo remake - mi libera definitivamente da quel carciofo di Tobey Maguire, che non ho mai capito come avesse fatto ad accaparrarsi la parte, ma perché segnala dei cambiamenti interessanti nel concepire l'eroe e le sue caratteristiche, peculiari della Weltanschauung americana. Peter Parker - un molto più adatto Andrew Garfield (che diavolo, è simpatico!) - è molto meno ossessionato di prima dal segreto e dalla preoccupazione (peraltro comprensibile, ma finora assolutizzata in modo soffocante) per chi lo circonda: ha un'aria più saggia - avevo pensato a "fatalistica", ma è un aggettivo che da noi ha pessimo corso... - più scanzonata e, soprattutto, si gode senza macerarsi la condizione di supereroe! Come dovrei aver già scritto, la questione è interessante e significativa: in una cultura dove l'originalità viene affermata come valore fondante, il supereroe tende a voler essere normale: si pensi a Smallville e a quel poveraccio di Superman, perennemente dilaniato dalla necessità di mentire su se stesso e i suoi rapporti. E' un po' il problema dell'"oltre da" simmeliano: sembra che il segreto della nostra originalità sia pericoloso e debba essere dissimulato, sostituito con un'eccentricità di facciata che lascia il tempo che trova. Una dialettica massacrante tra conformismo e modi di vita sempre più urlati e vuoti. Beh, Spiderman stavolta se ne frega! Si inebria dei suoi poteri - derivanti per di più dalla sua parte animale, e che animale! - e gestisce con una certa flessibilità i suoi rapporti. Diamine, mi piace assai e che invidia :D