Volevo iniziare con un PS al post di ieri su Johnny Cash. Ho dimenticato di riconoscere i grandi pregi della recitazione di Joaquin Phoenix e Reese Witherspoon e soprattutto di esclamare: "Ma ve lo immaginate andare a una serata dove suonano Elvis, Jerry Lee Lewis, Roy Orbison e Johnny Cash, tutti insieme!?!?!"
Dopodiché passiamo alla mattinata odierna, passata al riparo dai temporali al Vittoriano, alla mostra di Chagall. Mostra che lascia un buon sapore in bocca e una luce splendida negli occhi. Più passa il tempo e più mi è chiaro perché adoro Chagall - e stavolta il video di Moni Ovadia mi ha aiutato parecchio a mettere a fuoco la questione, come anche delle frasi dell'autobiografia: perché ritiene che gli altri - e parliamo delle mitiche avanguardie parigine, non dei contemporanei! - siano troppo intellettuali, che la pittura e l'arte abbiano un loro vocabolario fatto di immagini e colori... Chagall è un pittore veramente immaginale, senza psicologizzare o simbolizzare! È il pittore delle linee curve che svaporano nella luce, dei colori che debordano, dei mazzi di fiori come fuochi d'artificio, dell'innocenza e del dolore. E la mostra restituisce questa dimensione con fedeltà un po' disordinata, quasi a replicare l'affollarsi dei tetti di Vitebsk o dei personaggi circensi variamente piroettanti. Non solo. La purezza azzurra di Chagall si squarcia al rosso della guerra e dell'Olocausto e del lutto - anni orribili per un povero violinista russo - e crea lo strappo metafisico della Caduta dell'Angelo, una delle tele più potenti che abbia mai visto, che mi ha fatto tornare alla mente le oscene maschere di Mafai, attingendo però a un vertice di evidenza e rivelazione quasi sovrumano.
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