Il titolo certe volte aiuta. David Cronenberg lo dichiara sin dall'inizio cos'è il film: una storia di violenza. Senza fronzoli, senza effetti speciali, senza abbellimenti. Un bel testo di regia, il che non ci stupisce più di tanto vista la firma: molti primi piani, ritmo lento - quello del carrello - colore tanto anni Cinquanta. Gente comune, tutto comune, uno di quei famosi nulla americani distanti anni luce dalle metropoli e da quello che immaginiamo degli USA - quelli che continuano a mandarci Bush tra i piedi, per capirsi. E il famoso chiodo che fece perdere la guerra, il dettaglio - meglio in questo caso l'avvenimento, l'imprevisto - che manda all'aria il castello di carte costruito con tanta cura. Una notorietà non richiesta, una visibilità di cui si farebbe a meno con tutto il cuore, e una serie di conti in sospeso improvvisamente all'incasso. Voglio essere ottimista e buono: forse il fatto che Viggo Mortensen abbia in tutto due espressioni è anch'esso una scelta di regia. Certo è che secondo me perde pesantemente il confronto con i cattivi, Ed Harris e William Hurt, al quale lo psicopatico viene benissimo! Non che ancora gliene voglia per Aragorn, ma mi ricorda Gurb, l'extraterrestre stupito del romanzo di Eduardo Mendoza: ha sempre l'aria di essere appena sceso dall'astronave e di non capire nulla di quello che accade. Lo affianca una bella e brava Maria Bello, che scopriamo non essere bionda naturale e decisamente piacevole da rimirare nature, anche lei molto molto più espressiva del marito. Ci sono molti sottotesti che vale la pena di segnalare, magari al volo: la potenza - o necessità - del perdono, lo strano rapporto tra l'ipocrisia e l'amore, la normalità come costruzione a volte molto dolorosa, l'inganno dell'ovvio. Nessuno di questi è esplicitato, bisogna cercarli. Cronenberg ha smesso di parlare per iperboli, ha deciso di mostrare che l'Altro si nasconde dove meno te lo aspetti, perfino in un baretto di Nessundove USA.
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