martedì 7 gennaio 2014

Moonrise Kingdom - La regola del silenzio

Che il cinema di Wes Anderson faccia storia a sé dovrebbe essere ormai cosa risaputa. Bastano pochi fotogrammi perché ci si accorga di essere da qualche altra parte, un posto misurato eppure surreale dove succedono cose piccole di grande momento. Soprattutto per chi vive nei mondi accanto, dove la misura è scomparsa e se non si ragiona sulla scala del cataclisma sembra si perda tempo. Moonrise Kingdom racconta di un posto così, non meglio identificato, dove un cast d'eccezione - Bruce Willis, Edward Norton, l'immancabile Bill Murray tra gli altri -  conduce esistenze poco entusiasmanti, ma accettate con filosofia e un pizzico di rassegnazione. Basta la fuga d'amore di due dodicenni, entrambi ragazzi difficili per la regola del luogo, per frantumare la routine e portare ognuno a fare scoperte su di sé. Scoperte per una volta positive, che sbloccano lo stallo e cambiano l'aria. Alla fine tutto è cambiato, ma nulla pare diverso, forse solo più a fuoco. Un film da vedere, su cui meditare magari con una buona birra.

La regola del silenzio, invece, è qui di brutto :) Parla di questo mondo e delle diverse prospettive con cui lo si può comprendere; del convivere con ciò che si fa in nome di queste prospettive e dei prezzi che si pagano. Parla in particolare delle strategie di contenimento dell'opposizione e della critica che il famoso Sistema sa mettere in atto, codificando certi fatti con severità (e fin qui si sarebbe anche d'accordo), mentre altri, molto molto simili, passano in secondo piano, vengono costruiti diversamente e così percepiti come cosa altra oppure condonati, dimenticati (e qui ci si dovrebbe urtare almeno un pochino). Anche qui un cast notevole - Robert Redford, anche regista, come sempre impegnato, Susan Sarandon, Shia LaBoeuf e altri - anche se il film mi lascia appena appena interdetto. La narrazione è avvincente, il ritmo equilibrato, ma restano parecchi interrogativi privi di risposta e c'è un buonismo di fondo che si scontra con la crudezza del contesto e dell'impresa critica. Ci stanno i gesti nobili e gli affetti incorrotti in una storia così? Vederlo e pensarci su :)

giovedì 2 gennaio 2014

Vita di Pi

In prima battuta volevo solo scrivere "Bello!". Un cinema al suo meglio, con una ricchezza estetica e immaginifica ineffabile.

Poi mi è tornato in mente Eugen Fink: "Tutti conoscono questa inquietante trasformazione nel paesaggio della vita umana. Il disincantato vede, d'un tratto, le cose in modo diverso. Non è esatto dire che vede 'in modo più vero'; egli è più critico, più diffidente, e vede più chiaramente ciò che vede la diffidenza, ma non vede più ciò che vedono gli occhi dell'anima" (Il gioco come simbolo del mondo, Firenze, Hopefulmonster, 1991, p. 89). Credo che Vita di Pi sia la migliore illustrazione possibile dello "sguardo cattivo", che disprezza i poeti e crede solo nei fatti e preferisce fare a pezzi una poesia piuttosto che farsi una domanda. Ecco, credo che Ang Lee abbia voluto esprimere molto di più di quel che le parole possono dire e gli sono grato per questo, per aver affermato la bella immagine sopra ogni altra cosa. Per essere andato ben oltre il Pi greco, nella storia e nell'ispirazione... Oggi più che mai abbiamo bisogno di più tigri e meno burocrati. Più giochi di delfini e meno fretta. Più meraviglia e meno algoritmi.