giovedì 30 aprile 2009

Questione di cuoreMi chiedo il perché del titolo, Questione di cuore. Per carità, è piuttosto accurato nella descrizione del film, visto che i due protagonisti si incontrano in occasione di un infarto che li alletta uno accanto all'altro, 11 e 12. Il problema è che ha un fastidioso retrogusto di filmetto adolescenziale o di soap opera brasiliana e rischia di respingere più che attrarre. C'è mancato poco ieri sera che preferissi una cena greca alle meraviglie del grande (si fa per dire, Turrenetta :) schermo. Poi, dato che seguo le proposte del Caso, mi sono detto "Ecchissenefrega, pijerò 'na bbufala!" e sono andato lo stesso. Il romanesco alla Johnny Palomba è in omaggio a un fantastico Kim Rossi Stuart in versione carrozziere borgataro, con moglie trucida al primo impatto (Micaela Ramazzotti) e un figlio di nome Ayrton (pronuncia A irto!): già mi piaceva prima, quand'era pure un po' troppo macerato, ma adesso che è invecchiato col coraggio delle rughe e ha conquistato la misura lo trovo favoloso. Lasciamo stare che poi la trama andava a toccare dei tasti recenti e piuttosto dolorosi, ma l'atmosfera che Francesca Archibugi è riuscita a restituire è bella, intensa, struggente. In un film privo di tutti i soliti difetti del cinema italiano, che mette in cameo con grazia e ironia (Carlo Verdone e Paolo Villaggio), con un grande Antonio Albanese che lascia lampeggiare a tratti aspetti delle sue maschere preferite, ma tiene un tono generale di recitazione altissimo. Direi che vale veramente la pena, anche perché i bei film sull'amicizia e basta sono così rari...

venerdì 24 aprile 2009

David Bowie - Hunky DoryAdoro quando le cose si intrecciano e creano percorsi che non ti aspetti, si rinnovano e al tempo stesso conservano intatto il loro fascino e spessore. E' appena cominciato su Sky un nuovo serial, Life on Mars, che - come accade spesso, ultimamente - ha uno dei suoi punti di forza in uno dei capolavori rock di quand'ero piccolo. Parecchio piccolo, a dire il vero, 1973. Veramente piccolo *lol* Una di quelle cose che ti spinge a dire "canzoni così non se ne fanno più". E il tragico/ironico è che in effetti è proprio così, se l'industria dell'intrattenimento non trova niente di meglio che rispolverare vecchie glorie: The Who per i vari CSI, il corpus dei Beatles e degli Abba per il cinema, etc. Stavolta è toccato al Duca bianco, con la song omonima di cui non posso che riportare il testo:

It's a God awful small affair
To the girl with the mousey hair
But her mummy is yelling, "No!"
And her daddy has told her to go
But her friend is no where to be seen
Now she walks through her sunken dream
To the seat with the clearest view
And she's hooked to the silver screen
But the film is a sadd'ning bore
For she's lived it ten times or more
She could spit in the eyes of fools
As they ask her to focus on
David Bowie live
Sailors
Fighting in the dance hall
Oh man!
Look at those cavemen go
It's the freakiest show
Take a look at the lawman
Beating up the wrong guy
Oh man!
Wonder if he'll ever know
He's in the best selling show
Is there life on Mars?

It's on America's tortured brow
That Mickey Mouse has grown up a cow
Now the workers have struck for fame
'Cause Lennon's on sale again
See the mice in their million hordes
From Ibiza to the Norfolk Broads
Rule Britannia is out of bounds
To my mother, my dog, and clowns
But the film is a sadd'ning bore
'Cause I wrote it ten times or more
It's about to be writ again
As I ask you to focus on

Sailors
Fighting in the dance hall
Oh man!
Look at those cavemen go
It's the freakiest show
Take a look at the lawman
Beating up the wrong guy
Oh man!
Wonder if he'll ever know
He's in the best selling show
Is there life on Mars?


E naturalmente la storia dell'investigatore catapultato non si sa come nel 1973 permette di inanellare una perla dopo l'altra, solo nella prima puntata di nuovo The Who e gli Stones. Che dire? Che certi serial sono quasi meglio da ascoltare che da vedere Non tutti, a essere sinceri. Altri, come ad esempio Dexter, meritano di essere visti e ascoltati con grande attenzione e godimento. Già, Dexter, il nostro serial killer preferito, che con la sua complicata galleria di maschere offre uno spaccato dell'uomo del XXI secolo che batte gran parte degli scritti di sociologia in cui mi sono imbattuto finora! Uno dei recenti colpi di genio è la "rivelazione" del suo essere tossicodipendente, che ribalta tutti i pregiudizi sull'etichetta, mostrandone senza pietà la componente rassicurante: meglio tossico che qualcos'altro, che nessuno sa cosa sia ed è quindi destabilizzante al massimo, atopico direbbe Rella...
Dexter

domenica 19 aprile 2009

Chi canta fuori dal coro è comunista

Già lo so che mi mancherà. Come mi mancano quelli che sono già andati, Biagi, Bobbio e gli altri per cui era ancora possibile sentirsi orgogliosi di essere italiani. Scalfari è uno degli ultimi, oramai, e ne saranno lieti gli antropologicamente mutati di cui parla all'inizio di quest'ennesimo, lucido editoriale. Come molti altri suoi articoli, qualcosa da ponderare con attenzione per cercare di capire com'è possibile vivere in tempi come questi, in un paese come questo dove a indignarsi sono gli indegni e i pochi fuori dal coro quasi si vergognano e aspettano che passi il lungo inverno.
Banned Television

martedì 14 aprile 2009

Gran TorinoStavolta la parola è "essenziale". Aggiungerei scabro, visto che sento come un'eco di Ungaretti. Scabro ed essenziale come un ciottolo di fiume. O un giardino zen. Vedere opere di questo genere mi riempie di gioia: è la dimostrazione lampante che tutte le fesserie che si scrivono ultimamente sulla creatività e gli ausili tecnologici senza i quali, poverina, non riesce a dare i suoi frutti sono per l'appunto fesserie. Alibi. Mosse non troppo sottili per scusare la superficialità e il vuoto che la gran parte di noi si porta dentro. E Eastwood è a sua volta una figura che illustra al meglio l'idea di Bildung e il tema del carattere caro a James Hillman. Un cammino ininterrotto, contento di ogni passo, dove ogni passo non serve per andare da qualche parte ma conta in sé, per il momento in cui viene mosso e il senso che crea.
Il tema del diverso, dell'odio che ispira, si sfalda lentamente in pregiudizi e riflessi di paure e ignoranze, in mancanze troppo profonde per esser dette e che consentono solo l'azione vile. Tutto è formalizzato, dagli insulti tra gang ai pasti a casa dei vicini musi gialli, ma è evidente che si tratta di modulazioni di diversa ampiezza della stessa forma: da una parte la recita che deve convincere per primo chi la mette in scena (di esistere, di valere qualcosa, di essere qualcuno); dall'altra il legame tra persone e generazioni, lo spessore della cultura condivisa. Anch'essa capace di pregiudizi, naturalmente, come tutte le culture, ma perlomeno viva e accogliente per i suoi componenti. E anche per qualche raro outsider. L'uso sottile della forma è, infine, quello che consente la mossa vincente. Uno scacco, bisogna ammetterlo, che tradisce l'unica "debolezza" del film: la fiducia ancora non appannata nel funzionamento delle istituzioni, nella macchina della giustizia, in un sistema di aspettative che purtroppo ha dimostrato più e più volte di non essere così affidabile. A noi sarebbe mai venuto in mente un epilogo così?

domenica 5 aprile 2009

Gli amici del bar MargheritaCarino, sì. Parecchie risate. Un tono agrodolce piacevole, di un'emozione complicata, come dev'essere in effetti l'amarcord di uno che ha vissuto parecchio, che ama narrare. E poi un cast di tutto rispetto: non li elenco tutti perché mi verrebbe un crampo e perderei ore a cercare i link sono qui accanto, comunque, facce note, simpatiche, di gente in gamba. A ripensarci adesso questo tono rimane in primo piano, come un retrogusto sapientemente dosato. E forse risponde in parte alla domanda implicita fin dall'inizio: sì, vabbè, ma perché? Cui prodest questo film? Facce note, sketch noti, caratteri sempre quelli, amati ma ripetuti, appena variati da anni - tranne forse un Luigi Lo Cascio inedito nel ruolo dello schizzato linfomane e tanto bravo di risultare inquietante. C'è il bello della ridondanza, la ripetizione. La familiarità cui si unisce un po' di sano rimpianto per tempi semplici e rituali chiari, come la comitiva omofila del bar, il biliardo e il night club. Non so, in effetti. Però certo, tutto detto e tutto riflettuto, alla domanda "Ci saresti andato se avessi saputo com'era?" credo risponderei senza troppi rimpianti di no.
Giù al nordE meno male che quando parliamo di pregiudizi e campanilismi pensiamo di avere anche in questo triste campo una qualche eccellenza! A giudicare dal delizioso Giù al nord c'è da rivedere radicalmente i nostri criteri: se in Italia pensiamo più o meno male gli uni degli altri, a suon di stereotipi, restiamo cmq legati a una certa verosimiglianza, laddove il Nord-Pas de Calais tratteggiato nel film è un luogo leggendario di nebbia ghiacciata e temperature polari, dove il sole scompare senza preavviso, la gente parla in modo incomprensibile (e su questo abbiamo anche noi belle carte da giocare lol) ed è poco più che selvaggia e la sopravvivenza, in generale, è difficoltosa. Il direttore in punizione di un ufficio postale scoprirà che il detto locale "uno del sud che viene al nord raglia due volte: quando arriva e quando parte" è molto, molto accurato. Le sue avventure/disavventure sono veramente esilaranti, come accade spesso nelle commedie francesi azzeccate. Da segnalare i due protagonisti, l'algerino Kad Mérad e Dany Boon, anche sceneggiatore e regista.