martedì 28 febbraio 2017

The Great Wall

Tu prendi cinque o seimila comparse, dotale di abiti dai colori radianti e di accessori disegnati da un visionario, componile in coreografie mozzafiato e il gioco è fatto. Poi ci sono effetti speciali di ogni tipo, dalle lanterne mortuarie ai mostri brutti brutti brutti, un cast notevole - col povero Willem Dafoe che come sempre fa la carogna - e qualche accenno ai mali del mondo, che non stona mai. Tutto quello che serve per un film che ti passa in un batter d'occhio, anche se la regia non ha commesso il solito errore per cui dopo tutta 'sta fatica quaranta minuti in più buttiamoceli, no? e si è tenuta sull'ora e mezza giusta per la trama. The Great Wall non sarà un capolavoro, ma un film che si ricorda sì e in particolar modo per la bellezza: delle inquadrature, del caleidoscopio continuo che ti lascia a bocca aperta dagli scenari naturali alle uniformi, della ritualità scenica, dell'atmosfera che riesce a evocare. Il funerale del generale, con l'esercito schierato sulla muraglia, le lanterne in volo e il canto sulle percussioni, è magnifico e l'inserimento dei tagliagole occidentali aggiunge un tocco originale a quella che altrimenti avrebbe potuto essere scambiata per una leggenda cinese. A voler fare il sociologo a tutti i costi, è un film sui muri: su quanto non servano per quello per cui vengono costruiti e su quanto riescano, loro malgrado, a unire. Di questi tempi, è una riflessione che vale tanta polvere nera quanto pesa...

domenica 19 febbraio 2017

The Disunited States of America

Ogni tanto mi faccio violenza da solo, lo ammetto. Pare serva, però. E così invece di una rilassante fuga in qualche serial stasera mi sono dedicato a un docufilm di stretta attualità, The Disunited States of America. Non ne sono affatto pentito, anche se l'amarezza è alle stelle. Non tanto per lo spoiler - si sapeva benissimo chi fosse l'assassino - quanto per la banalità del tutto, che ti sbatte in faccia l'inutilità delle analisi senza uno straccio d'anestesia. Di quasi tutte le analisi, almeno: Michael Moore l'aveva detto con largo anticipo e nel documentario i 5 punti con cui aveva giustificato il suo scoramento sono belli squadernati, come dicevo senza filtri. L'avevo letto, al tempo, ma pur con un senso di gelo nell'anima mi ero detto "maddai, è oltre il pensabile che vinca uno così!".

Complimenti vivissimi allo scienziato sociale! Non tanto per la riluttanza ad accettare il mondo fuori dall'esperienza diretta - e ad accettare l'esperienza diretta per quel che è - quanto perché il titolo del docufilm chiarisce inequivocabilmente che la cosa può essere letta da un altro punto di vista, che mi è maledettamente familiare. Direi meglio che DEVE essere letta da quel punto di vista, che per il momento continuo a riscontrare in certe dinamiche e a rifiutare in altre.
 
"A divisive campaign," l'hanno chiamata. All'anima, verrebbe da dire alla romana, ed è proprio questo il punto: quando parli da anni del predominio incontrastato del paradigma esclusivo e dell'operazione della divisione, come puoi aspettarti che questa non si rivolga sempre più contro l'esistente che ironicamente vorrebbe usarla per tutelarsi? Da decenni assistiamo alla lacerazione di tutto ciò che non è "puro", omogeneo: stati plurinazionali, minoranze più o meno immaginarie, partiti politici e movimenti. Per quale motivo a un certo punto la spirale dovrebbe arrestarsi? Baudrillard l'ha detto magnificamente già nel 1976: "La definizione dell'Umano è, al livello della cultura, inesorabilmente ristretta: ogni progresso 'oggettivo' della civilizzazione verso l'universale ha corrisposto a una discriminazione più stretta, al punto che si può intravvedere il tempo dell'universalità definitiva dell'Uomo, che coinciderà con la scomunica di tutti gli uomini - e in cui la purezza del concetto splenderà sola nel vuoto".

Come pensare che qualcosa - qualsiasi cosa - resti unito quando il quadro generale all'interno del quale è nata si è lentamente alterato così da privilegiare unilateralmente, maniacalmente la divisione? L'urgenza della riscoperta dell'autoaggregazione, della coevoluzione è assoluta, ma come si potrà realizzarla in tempo, quando la gran parte dell'umanità non ascolta, non vuole ascoltare e non può più ascoltare per miopia, incapacità, vergogna, frustrazione? C'è in effetti ben poco da stare allegri.

domenica 12 febbraio 2017

Da Franco Rella - Miti e figure del moderno

http://www.deviantart.com/art/Epiphany-64380301La memoria involontaria ci dona immagini piene di verità, ma questa verità è inafferrabile. Se noi cerchiamo di ripetere il gesto che ha suscitato il lampo della memoria involontaria, questo gesto si fa abitudine, e l'immagine svanisce nel grigiore del quotidiano. Bisogna rendere l'involontario necessario, e, in qualche modo, ripetibile (p. 14).

http://www.deviantart.com/art/Unexpected-644057501 

La foresta di segni e di simboli, anziché indurre al terrore o all'orrore, proprio in quanto inestricabile mescolanza di contrari, dà alla nostra vita "sapore ed ebbrezza". L'ebbrezza che nasce dal "meraviglioso quotidiano", dal "gusto e dalla percezione dell'insolito". La porta del mistero si è aperta. L'errore l'ha dischiusa. Infatti, proprio ciò che è confuso contiene quelle serrature che "chiudono male verso l'infinito" (p. 98)