domenica 17 febbraio 2013

Hugo Cabret


Mica una cosa facile. Un film che è un sacco di cose tutte insieme e che all'inizio finge di essere qualcosa che non è. Inizio non particolarmente azzeccato, tra l'altro, e stavolta non so se per una scelta di ritmo narrativo o per errore. Comunque, cos'è Hugo Cabret? Una fiaba, un atto d'amore verso il cinema, un messaggio tra le righe, un testo di riflessione immaginale. Questo e altro, contemporaneamente. Proprio ieri sera davo atto a un vecchio amico di aver intuito la potenza di questa parola molto prima di me; parola immensa, soprattutto per chi si ostina a restare chiuso nella logica discorsiva sequenziale. Penseremo pure in sequenza - e se ne potrebbe discutere - ma certo viviamo in sincronia: processi fisiologici, mentali, simbolici si intrecciano e si allontanano, avvengono senza cura per le nostre capacità analitiche o di comprensione. Aprire gli occhi a questa "semplice" constatazione è forse il primo passo verso la saggezza. Così, Hugo Cabret è questo sciame di significati, uno dei quali in particolare mi è piaciuto: l'incontro poetico tra meccanica e sogni, tra la rassicurazione esistenziale della struttura ("se tutto è connesso e ha un senso, allora anch'io ce l'ho") e il suo utilizzo non utilitaristico; il piegarsi delle due dimensioni principali dell'essere umano - homo sapiens e demens - l'una verso l'altra in un abbraccio disarmato è quello che mi augurerei per il prossimo secolo, non tanto per me che qualche passo l'ho già fatto, ma per questo povero mondo.

lunedì 11 febbraio 2013

The Following

Povero Poe! O forse mi sbaglio e sarebbe lusingato da tanta attenzione, anche se piuttosto malata. Comunque l'immaginario del tempo è pieno di uomini neri dalle connotazioni più diverse: non morti brutti (zombie) anche se ultimamente perfino amabili; non morti fichissimi (vampiri, in Twilight addirittura scintillini :) e ne so qualcosa; incroci assortiti tra uomo e bestia (mannari di ogni forma ed estrazione); e infine uomini cattivi d'ogni risma. E' piuttosto evidente che l'evacuazione del male da parte della razionalità sta facendo fare gli straordinari a tutto il resto, con risultati interessanti e preoccupanti al tempo stesso. Che i creatori di trame abbiano intuito il fascino del tema non significa che il suo sfruttamento onnipresente abbia solo a che fare con gli incassi, come ci raccontiamo spesso; vuol dire piuttosto che c'è un vuoto vasto e spaventoso, un abisso al cuore della modernità, che qualcuno o qualcosa deve riempire. Da questo punto di vista The Following - che parte ufficialmente domani, per cui per una volta sono in anticipo, roba da veri giornalisti lol - opera su diversi piani. Offre una variante originale - e non è facile! - dell'inflazionata figura del serial killer, uomo nero per eccellenza e manco a dirlo oggetto di fanatismi incomprensibili ai più, andando a esplorare proprio questo fascinum, antico termine latino dai significati oscuri e numinosi: l'attrazione malata, come dice la nostra cultura che di malattie se ne intende, per figure carismatiche ed eccentriche, che a volte sconfina nel culto. "Non usiamo quella parola," dice un'agente dell'FBI, rivelando la strategia principe che si usa da qualche decennio a questa parte: se non lo dico, non lo nomino, non esiste. A farci caso era esattamente la strategia che doveva tenere a bada Voldemort e guardate com'è andata! L'argomentazione che segue è però lucida: se la gente è vuota, occorre qualcuno che sappia riempirla, di sogni, emozioni, brividi e siccome, a forza di stigmatizzarle, tutte queste cose vengono percepite come malvagie non possono che essere appannaggio dei feroci, degli assassini, degli uomini neri. Non c'è che dire, proprio un bel risultato...


Una sola chiosa, en passant: gli uomini vuoti non ci diventano per caso e non basta solo l'evacuazione di tutto ciò che non è razionale; occorre anche una disattenzione lunga e dolorosa per l'intero versante interiore, la trasformazione della cultura in una serva dell'economia, nel lavoro come nel marketing, l'abiura all'umanità come tratto programmatico di una visione del mondo. Orsù, continuiamo a preoccuparci di affari e finanza, gli uomini neri hanno quasi vinto.

lunedì 4 febbraio 2013

Last Resort

Spezzerò una lancia per Last Resort nella convinzione che si tratti di una serie one-shot, specie rara della quale sento la mancanza :) Mi rendo conto che l'idea stessa di serial è contraria a questo mio desiderio, perlomeno a uno sguardo superficiale e tanto per cambiare economico: cosa di meglio dal punto di vista della produzione di una narrazione che riesce a proseguire e farsi vendere per n stagioni, sostituendo pian piano (a volte neanche tanto piano) l'innovazione o addirittura la sperimentazione con la sana routine? Una routine, va detto, rassicurante sia per il fruitore che per il venditore, che inizia presto o tardi la combinatoria dei rapporti amorosi e una serie di colpi di scena prevedibili, sperimentati e capaci di soddisfare i più, i quali per l'appunto proprio quello andavano cercando: una storia nota sotto mentite spoglie, un altro modo per confermare il noto e fugare l'ignoto.





Però una serie può essere anche altro. Può essere narrazione di una storia che non si riesce a chiudere nell'arco breve di un film, strumento per tratteggiare personaggi di un certo spessore, indulgere in rimandi colti e divertiti capaci di rievocare un intero clima culturale - come nell'altro cult qui accanto, Life on Mars, che ricordo sempre con grande piacere e presto rivedrò - e soprattutto riascolterò! Può essere segno di un coraggio di cui si sente la mancanza: in minore, nella capacità di non tirare troppo la corda e rinunciare a possibili guadagni futuri in nome della coerenza di un racconto o di un'idea; in maggiore, nella creazione di personaggi di cui personalmente comincio a sentire la mancanza: personaggi forti, decisi, eroici nel giusto senso del termine. E' paradossale, ma una cultura dell'aut/aut, del bianco e nero in tutto, chiede al suo versante immaginale di supplire alle sue mancanze di raffinatezza e profondità e trasforma i suoi eroi in figure deboli, indecise, combattute - come sono d'altronde la gran parte dei suoi abitanti, fiaccati dalla costante erosione del carattere e dello spessore etico e morale.



Così non c'è neanche più salvezza nell'immaginazione. Anche lì troviamo gli stessi patetici uomini piccoli che ci circondano, incapaci di farsi carico del loro dono o del loro destino, pronti a vendersi per pochi denari e a volte, nei casi migliori, di avere il buon gusto di provarne vergogna. Non è questo che dovrebbero essere gli eroi. E non a caso il comandante Chaplin - un notevole Andre Braugher - non è affatto così: sa bene dov'è il giusto e dove lo sbagliato e si comporta di conseguenza, senza cedimenti e pagando il prezzo adeguato. Dice molto di una cultura che gli unici a comportarsi in modo degno siano un pugno di personaggi di fiction...