sabato 30 dicembre 2017

Monet al Vittoriano

Pare che le cose si organizzino per una loro logica interna della quale ad oggi non abbiamo idea e che se le si lascia fare facciano bei regali. Perlomeno a volte. E' un po' quello che mi sta capitando in questo periodo. Dopo Hokusai, sono andato a vedere la mostra qui accanto senza un particolare entusiasmo, dato che adoro Monet e lo conosco abbastanza: era un po' come una visita a un vecchio amico. E invece mi sono trovato di fronte a opere dell'ultima fase che mi hanno strabiliato, come queste splendide Rose dal formato imponente 1,80x3,20 e i pannelli monumentali dedicati ai glicini e alle ninfee... Roba da sindrome di Stendhal e di nuovo una

leggerezza e un'indeterminazione che nascondono qualcosa di più, un modo di ritrarre e presentare la realtà che è una pista di comprensione che andrà battuta. Non a caso il buon Monet era un appassionato di arte giapponese e di Hokusai in particolare, come dovrebbe essere piuttosto evidente: è una rivelazione che rasenta l'epifania, qualcosa che molto di rado siamo in grado di replicare nei nostri scritti. Riuscirci - o almeno provarci! - lo metterei tra i buoni propositi del nuovo anno ;)
 

domenica 17 dicembre 2017

Rotte a partire da Hokusai

Hokusai - Sulle orme del Maestro
Di ritorno dalla mostra di Hokusai all'Ara Pacis, pochi appunti sparsi. Al di là dello splendore dei kimono e della nitidezza dei particolari, la cosa che più colpisce è la grazia frattale dei motivi, come nella Grande Onda qui sopra, il ritmo di sezione aurea che pervade ogni cosa. In questa Onda femminile credo che la cosa sia ancora più evidente, per non dire della spirale sullo sfondo che aprirebbe a una labirintica indagine immaginale...


Non solo. La ricchezza e il genio di un autore non stanno soltanto nella bellezza delle emozioni e sensazioni che suscita, ma anche negli echi che risveglia. Le opere di Hokusai riattivano ricordi, armonie ormai seminascoste. Sarebbe impossibile ora non accostare i suoi Luoghi memorabili ai panorami del multiverso di Roger Dean. La stessa leggerezza eterea, le stesse atmosfere dove la materia esiste anche nel colore e nell'infinita apertura dei cieli, nel gioco con la gravità.

martedì 28 febbraio 2017

The Great Wall

Tu prendi cinque o seimila comparse, dotale di abiti dai colori radianti e di accessori disegnati da un visionario, componile in coreografie mozzafiato e il gioco è fatto. Poi ci sono effetti speciali di ogni tipo, dalle lanterne mortuarie ai mostri brutti brutti brutti, un cast notevole - col povero Willem Dafoe che come sempre fa la carogna - e qualche accenno ai mali del mondo, che non stona mai. Tutto quello che serve per un film che ti passa in un batter d'occhio, anche se la regia non ha commesso il solito errore per cui dopo tutta 'sta fatica quaranta minuti in più buttiamoceli, no? e si è tenuta sull'ora e mezza giusta per la trama. The Great Wall non sarà un capolavoro, ma un film che si ricorda sì e in particolar modo per la bellezza: delle inquadrature, del caleidoscopio continuo che ti lascia a bocca aperta dagli scenari naturali alle uniformi, della ritualità scenica, dell'atmosfera che riesce a evocare. Il funerale del generale, con l'esercito schierato sulla muraglia, le lanterne in volo e il canto sulle percussioni, è magnifico e l'inserimento dei tagliagole occidentali aggiunge un tocco originale a quella che altrimenti avrebbe potuto essere scambiata per una leggenda cinese. A voler fare il sociologo a tutti i costi, è un film sui muri: su quanto non servano per quello per cui vengono costruiti e su quanto riescano, loro malgrado, a unire. Di questi tempi, è una riflessione che vale tanta polvere nera quanto pesa...

domenica 19 febbraio 2017

The Disunited States of America

Ogni tanto mi faccio violenza da solo, lo ammetto. Pare serva, però. E così invece di una rilassante fuga in qualche serial stasera mi sono dedicato a un docufilm di stretta attualità, The Disunited States of America. Non ne sono affatto pentito, anche se l'amarezza è alle stelle. Non tanto per lo spoiler - si sapeva benissimo chi fosse l'assassino - quanto per la banalità del tutto, che ti sbatte in faccia l'inutilità delle analisi senza uno straccio d'anestesia. Di quasi tutte le analisi, almeno: Michael Moore l'aveva detto con largo anticipo e nel documentario i 5 punti con cui aveva giustificato il suo scoramento sono belli squadernati, come dicevo senza filtri. L'avevo letto, al tempo, ma pur con un senso di gelo nell'anima mi ero detto "maddai, è oltre il pensabile che vinca uno così!".

Complimenti vivissimi allo scienziato sociale! Non tanto per la riluttanza ad accettare il mondo fuori dall'esperienza diretta - e ad accettare l'esperienza diretta per quel che è - quanto perché il titolo del docufilm chiarisce inequivocabilmente che la cosa può essere letta da un altro punto di vista, che mi è maledettamente familiare. Direi meglio che DEVE essere letta da quel punto di vista, che per il momento continuo a riscontrare in certe dinamiche e a rifiutare in altre.
 
"A divisive campaign," l'hanno chiamata. All'anima, verrebbe da dire alla romana, ed è proprio questo il punto: quando parli da anni del predominio incontrastato del paradigma esclusivo e dell'operazione della divisione, come puoi aspettarti che questa non si rivolga sempre più contro l'esistente che ironicamente vorrebbe usarla per tutelarsi? Da decenni assistiamo alla lacerazione di tutto ciò che non è "puro", omogeneo: stati plurinazionali, minoranze più o meno immaginarie, partiti politici e movimenti. Per quale motivo a un certo punto la spirale dovrebbe arrestarsi? Baudrillard l'ha detto magnificamente già nel 1976: "La definizione dell'Umano è, al livello della cultura, inesorabilmente ristretta: ogni progresso 'oggettivo' della civilizzazione verso l'universale ha corrisposto a una discriminazione più stretta, al punto che si può intravvedere il tempo dell'universalità definitiva dell'Uomo, che coinciderà con la scomunica di tutti gli uomini - e in cui la purezza del concetto splenderà sola nel vuoto".

Come pensare che qualcosa - qualsiasi cosa - resti unito quando il quadro generale all'interno del quale è nata si è lentamente alterato così da privilegiare unilateralmente, maniacalmente la divisione? L'urgenza della riscoperta dell'autoaggregazione, della coevoluzione è assoluta, ma come si potrà realizzarla in tempo, quando la gran parte dell'umanità non ascolta, non vuole ascoltare e non può più ascoltare per miopia, incapacità, vergogna, frustrazione? C'è in effetti ben poco da stare allegri.

domenica 12 febbraio 2017

Da Franco Rella - Miti e figure del moderno

http://www.deviantart.com/art/Epiphany-64380301La memoria involontaria ci dona immagini piene di verità, ma questa verità è inafferrabile. Se noi cerchiamo di ripetere il gesto che ha suscitato il lampo della memoria involontaria, questo gesto si fa abitudine, e l'immagine svanisce nel grigiore del quotidiano. Bisogna rendere l'involontario necessario, e, in qualche modo, ripetibile (p. 14).

http://www.deviantart.com/art/Unexpected-644057501 

La foresta di segni e di simboli, anziché indurre al terrore o all'orrore, proprio in quanto inestricabile mescolanza di contrari, dà alla nostra vita "sapore ed ebbrezza". L'ebbrezza che nasce dal "meraviglioso quotidiano", dal "gusto e dalla percezione dell'insolito". La porta del mistero si è aperta. L'errore l'ha dischiusa. Infatti, proprio ciò che è confuso contiene quelle serrature che "chiudono male verso l'infinito" (p. 98)

lunedì 30 gennaio 2017

Split

Le cose tendono a sovrapporsi, a rinviare le une alle altre. E la trama di questi rimandi disegna un clima, un affresco. Dice Durand, un "bacino semantico". Credo che valga anche l'idea di Zeitgeist, lo spirito del tempo: una sensibilità comune, un ritorno a spirale di temi e simboli che illustrano degli archetipi, le costellazioni che si avviano allo zenith mentre altre si inabissano pian piano dopo lunghi periodi di predominio.
Che c'entra questo con Split, direte voi? Forse niente, forse parecchio: queste cose non hanno un modo oggettivo di darsi a vedere; fanno anzi le smorfiose, ammiccano, spariscono, si travestono. Baudelaire, molto più versato di me, parlava della realtà come "foresta di simboli" per orientarsi nella quale serve una certa competenza. Un certo fiuto fatto di monomanie, intuizioni, aperture anche eccessive. Però c'è una cosa: ho appena finito di scrivere un saggio dove traccio qualcuno di questi rinvii andandomela a prendere con gli zombie, che sono una delle costanti della fiction del periodo. Uno dei tratti che li caratterizzano è quello dell'orda, della moltitudine caotica che distrugge ogni cosa: il formicolio, il brulichio rinviano allo schema dell'animato di Durand, al terrore irriflesso per l'opera del tempo.

Ora Kevin - il bravissimo James McAvoy - ospita 23 personalità, che già di per loro sono un bel numero. Alcune sono carine, gentili; altre diabetiche; altre meno alla mano, tanto che il gran consesso tende a impedir loro di venire alla luce. Per qualche strano motivo, però, al momento hanno preso il potere grazie a un bambino di nove anni e si scopre che le altre le chiamano... l'Orda. Ce n'è abbastanza per insospettirsi. Che dirne? Che dopo aver devastato il mondo esterno, il tornado che sta investendo la cultura occidentale si sposta nell'intimo di ognuno, scoprendo alla fine che il mito dell'individuo era proprio questo: un mito, ora al tramonto. E che le tante dimensioni con le quali conviviamo di solito senza farci troppo caso, stufe di questo continuo disconoscimento, stanno per devastare i territori interiori come The Walking Dead hanno fatto dell'America? Si potrebbe e non si andrebbe granché lontano da un'interpretazione plausibile, in linea con le tematiche che affronta di solito M. Night Shyamalan. Il quale però rilancia e scopre silver linings che altrove non si trovano. Motivi di speranza - o almeno di dubbio - fortemente contraddittoriali, ma che vanno a intercettare altre questioni aperte del paradigma dominante: i rapporti tra mente e corpo, ad esempio; il perenne equivoco dell'animalità umana. Anomalie che la scienza si trova tra i piedi - come la faccenda di un'unica personalità diabetica e l'ipotesi buttata lì che le diverse personalità non si limitino ad essere cortocircuiti del cervello, ma riescano a modificare struttura e caratteri del corpo. Anomalie che culminano nella Bestia e nell'interrogativo che suscita su poteri umani nascosti e forse sviati da una certa forma mentis... Sul film ho qualche riserva, sull'immaginario che sonda nessuna 😄

domenica 29 gennaio 2017

Blue October - Inner Glow

Era tanto che non trovavo un gruppo che mi piacesse così tanto. O una canzone che non riuscissi a smettere di ascoltare come questa. Che cattura alla perfezione le emozioni, il clima esistenziale che sto vivendo, come se me l'avessero scritta su misura. E passa senza nessuna difficoltà dal biografico al collettivo, allo stupore tramortito con cui mezzo mondo sta guardando i suoi sogni e le sue illusioni andarsene in frantumi. E la soluzione è sempre la stessa: "Keep your aching celebrating wonder making heart alive / Write your own song!"

I'm like a storm cloud, eager when you go out
Calm again
I'll ask permission for the wrong to win
Drop the bomb and get your story out and get it on
In a haze the beginning of your days
Gonna fall down
Got to get back up but at your own pace
Got to fill your cup and find the way
Out of your own maze
Yeah boy, what you said now

And hide the rule book, throw it in the waste
Look strong
Like you belong, cause you do belong
Whether right or wrong, you belong

I'm on your side, if you fail at least you tried
To keep your aching celebrating wonder making heart alive
Yeah and pride, don't keep it all inside
Don't keep your aching celebrating wonder making heart alone
Write your own song

Whatever happened to our inner glow?
Whatever happened to the song the soul, the me I used to know?
Whatever happened to my radio?
Whatever happened to my song?
It is my song

So here's a preview, shove it under old-new
Or call it rock or pop or Bach or FUCK
Goddamn, where did we go wrong?
Now there's a catergory for every song

Yeah we only want to sing when we want to
Yeah we only want a dream we can flaunt to
Yeah we only want to fly by the side, making love to the rhythm, be a Jekyll and a Hyde
Yeah we only want a field we can run through
Yeah we only want a beat we can drum to
Yeah we only want to fly by the side, making love to the rhythm, be a Jekyll and a Hyde

So stride, if you fail at least you tried
To keep your aching celebrating wonder making heart alive
And pride, don't keep it all inside
Don't keep your aching celebrating wonder making heart alone
Write your own song

Whatever happened to our inner glow?
Whatever happened to the song, the soul, the me I used to know?
Whatever happened to my radio?
Whatever happened to the song?

Gonna wake up strong, ya we're all gonna wake up strong
Gonna wake up strong, ya we're all gonna wake up strong
Gonna wake up strong, ya we're all gonna wake up strong
Ya, write your own song
Gonna wake up strong, ya we're all gonna wake up strong
Gonna wake up strong, we're all gonna wake up strong
Gonna wake up strong
Ya, we're writing our own song

Yeah we only want to sing when we want to
Yeah we only want a dream we can flaunt to
Yeah we only want to fly by the side, making love to the rhythm, be a Jekyll and a Hyde

Whatever happened to our inner glow?
(Yeah we only want a beat we can drum to)
Whatever happened to the song, the soul, the me I used to know?
Whatever happened to my radio?
(Yeah we only want a dream we can flaunt to)
Whatever happened to the song?
(To the rhythm, be a Jekyll and a Hyde)

Whatever happened to our inner glow?
Whatever happened to the song, the soul, the me I used to know?
Whatever happened to my radio?
Whatever happened to the song?

(Gonna wake up strong, ya we're all gonna wake up strong
Gonna wake up strong, ya we're all gonna wake up strong
Gonna wake up strong, ya we're all gonna wake up strong
Ya, write your own song
Gonna wake up strong, ya we're all gonna wake up strong
Yeah we only want a dream we can flaunt to
Yeah we only want to fly by the side, making love to the rhythm, be a Jekyll and a Hyde)

domenica 22 gennaio 2017

Red Country - Logen and Caul

 L'altra volta vi ho presentato Roland di Gilead, l'ultimo pistolero o gunslinger. Oggi tocca a un altro splendido personaggio nato dalla penna di Joe Abercrombie: Logen Ninefingers, aka the Bloody Nine, aka Lamb. Un personaggio magnifico, tragico, protagonista della prima trilogia della First Law e che ricompare quasi alla chetichella in Red Country. In queste ultime pagine incontra un suo vecchio amico/nemico, Caul Shivers, ed è una scena da brividi. E da stupida speranza per le sorti dell'uomo :)

‘Stay out of it, Shy. It’s an old debt we got. Past time it was paid.’ Then he spoke to Shivers in Northern. ‘Whatever’s between me and you, it don’t concern these.’
Shivers looked at Shy, and at Ro, and it seemed to her there was no more feeling in his living eye than in his dead. ‘It don’t concern these. Shall we head outside?’
They walked down the steps in front of the store, not slow and not fast, keeping a space between them, eyes on each other all the way. Ro, and Shy, and Pit, and Wist edged after them onto the porch, watching in a silent group.
‘Lamb, eh?’ said Shivers.
‘One name’s good as another.’
‘Oh, not so, not so. Threetrees, and Bethod, and Whirrun of Bligh, and all them others forgotten. But men still sing your songs. Why’s that, d’you reckon?’
‘’Cause men are fools,’ said Lamb.
The wind caught a loose board somewhere and made it rattle. The two Northmen faced each other, Lamb’s hand dangling loose at his side, stump of the missing finger brushing the grip of his sword, and Shivers gently swept his coat clear of his own hilt and held it back out of the way.
‘That my old sword you got there?’ asked Lamb.
Shivers shrugged. ‘Took it off Black Dow. Guess it all comes around, eh?’
‘Always.’ Lamb stretched his neck out one way, then the other. ‘It always comes around.’
Time dragged, dragged. Those children were still laughing somewhere, and maybe the echoing shout of their mother calling them in. That old woman’s rocker softly creak, creaking on the porch. That weathervane squeak, squeaking. A breeze blew up then and stirred the dust in the street and flapped the coats of the two men, no more than four or five strides of dirt between them.
‘What’s happening?’ whispered Pit, and no one answered.
Shivers bared his teeth. Lamb narrowed his eyes. Shy’s hand gripped almost painful hard at Ro’s shoulder, the blood pounding now in her head, the breath crawling in her throat, slow, slow, the rocker creaking and that loose board rattling and a dog barking somewhere.
‘So?’ growled Lamb.
Shivers tipped his head back, and his good eye flickered over to Ro. Stayed on her for a long moment. And she bunched her fists, and clenched her teeth, and she found herself wishing he’d kill Lamb. Wishing it with all her being. The wind came again and stirred his hair, flicked it around his face.
Squeak. Creak. Rattle.
Shivers shrugged. ‘So I’d best be going.’
‘Eh?’
‘Long way home for me. Got to tell ’em that nine-fingered bastard is back to the mud. Don’t you think, Master Lamb?’
Lamb curled his left hand into a fist so the stump didn’t show, and swallowed. ‘Long dead and gone.’
‘All for the best, I reckon. Who wants to run into him again?’ And just like that Shivers walked to his horse and mounted up. ‘I’d say I’ll be seeing you but . . . I think I’d best not.’
Lamb still stood there, watching. ‘No.’
‘Some men just ain’t stamped out for doing good.’ Shivers took a deep breath, and smiled. A strange thing to see on that ruined face. ‘But it feels all right, even so. To let go o’ something.’ And he turned his horse and headed east out of town.

 

domenica 15 gennaio 2017

Perfetti sconosciuti

Be' decisamente un bagno di sangue, più che un film! Un bagno di sangue necessario, ben scritto, con un cast eccellente - sono talmente tanti e bravi che mi risparmio le menzioni dirette se non per Marco Giallini e Valerio Mastandrea che come ormai saprete è uno dei miei preferiti in assoluto - ma pur sempre un bagno di sangue. O anche una mattanza, tanto per spiegarmi con efficacia. Non credo sia solo questione di ipocrisia, anche se l'ipocrisia regna sovrana: c'è molto d'altro, delle falle nell'autorappresentazione che cominciano a esorbitare seriamente l'intenzionale per avvicinarsi all'essenziale. "Siamo frangibili," dice alla fine Giallini, che comunque è quello che ne esce meglio. Molto più frangibili di prima, per un'inveterata prassi a pensarci meglio di quel che siamo e a rifiutare a prescindere i lati oscuri e i desideri men che armonici ai vari modelli demenziali che ci vengono martellati addosso sin dalla più tenera età. L'ossessione diurna per la trasparenza e l'illusione che essere razionali equivalga ad essere buoni e inappuntabili giocano scherzi pessimi, cui possiamo sommare senza problemi l'atteggiamento moralistico, farisaico e la falsa superiorità pezzente che porta con sé, che l'amico Cosimo dimostra alla perfezione. Ne deriva un mix infernale che si sedimenta e dà a vedere nel grande imputato di questi anni, lo smart phone - che tanto smart, dopo il film, non sembra e soprattutto non sembra appartenere a smart people di sorta.

"Quante vite stai vivendo?" chiede il trailer e risponde "Una pubblica, una privata, una segreta". Il problema è che il segreto è un affar serio, quello stesso che il cinismo di qualche secolo fa affermava essere già troppo diffuso se lo si conosceva in due. Con ridondanza durandiana, il tema torna a ogni piè sospinto, perfino nella psicoterapia inoffensiva di Rocco, nei suoi rapporti - così ben disegnati - con la figlia adolescente: è più che altro un'ossessione, pensabilissima da parte di persone costrette a immaginarsi monodimensionali, prevedibili e accettabili contro ogni pressione interiore ed esteriore. Dalla difficoltà di una fedeltà adamantina in condizioni quotidiane di perenne tentazione vestita da esigenza di fuga e di affermazione all'altrettanto complicata percezione di sé alla luce di un solo imperativo, peraltro profondamente discutibile; dal disconoscimento e conseguente incapacità di apprezzare la propria complicata vita emotiva alle suggestioni onnipotenti di tecnologie che promettono sempre più di quanto sono in grado di mantenere, la sopravvivenza al tempo della connessione è sempre più delicata e acrobatica. Aggiungiamoci poi la contraddittorialità del segreto e ne verrà una pozione diabolica: il segreto rafforza e riafferma la propria unicità e il proprio potere, ma richiede una sostanza soggettiva salda e compatta per essere sopportato. Altrimenti questa la si finge e intanto si cerca in ogni modo, consapevole o meno, di farsi beccare, proprio come i serial killer di cui si discute a un certo punto attorno al tavolo. Il segreto suppura oppure si concentra e comprime come una molla che vuole scattare, in un'affermazione che è ad un tempo - anche lei! - titanica e autodistruttiva. Segreti peraltro banali, tranne qualcuno; intuibili, a volte quasi ovvi, che rivelano l'infinito gioco di specchi dietro al quale ci nascondiamo spesso, feriti, sbriciolati, irriconoscibili.

E ti chiedi: ha senso pretendere da altri quello che non sappiamo dare a noi stessi? E' una pecca atavica e inevadibile oppure è frutto di una percezione errata di noi, mutuata da convinzioni apprezzabili, ma ormai portate all'eccesso, devastanti? Non dovremmo invocare una misura anche in questo, una tolleranza e un'accoglienza reciproche che nascano dal mutuo riconoscimento? Quello vero, del proprio e dell'altrui essere cangianti, mutevoli nell'essenza, incompleti per definizione, umani?

venerdì 6 gennaio 2017

Assassin's Creed

Immagino che al mio gentile pubblico possa parere strano, ma in gioventù ho visto film che voi umani... Ho amici di lunga data che ancora mi rinfacciano La leggenda della fortezza di Suran, mentre il ricordo di Nessuna festa per la morte del cane di Satana di Fassbinder è indelebile. Tempo di cineclub e sale deserte, maratone di Truffaut al Farnese e altre esagerazioni degli anni verdi. Ti sei parecchio rincojonito, penserete. E in effetti... Però devo dire a mia discolpa che sconto probabilmente l'aver strafatto di cui sopra, che mi ha portato dall'altra parte del pendolo con anni interi di assenza dalle sale, e il cambiamento del mercato cinematografico con connessa evoluzione/mutazione della settima arte in generale. In termini di medium, devo riconoscere che i progressi tecnologici hanno un loro perché - come dicevo a proposito di Doctor Strange - e tendo quindi a privilegiare le pellicole - che termine antiquato! - dove abbondano gli effetti speciali. Anche perché sono di solito vicine ai miei gusti non mainstream, anche se come ormai si sa abbiamo vinto e la distinzione lascia il tempo che trova. In Assassin's Creed ci andiamo giù pesanti e le parti più videogame sono vertiginose: la fuga a Granada è incredibile, ti fa venir voglia di saltare in giro per sedie e pareti insieme a loro 😄 In più c'è questa cosa dell'ibrido assoluto che è filtrato anche nel mondo del cinema: delle ultime cose che ho visto, una veniva da una saga di narrativa, due da serie di fumetti e questa... da un videogame! Pare che Hollywood abbia direttamente abdicato all'idea di avere qualche idea originale e si limiti alla gestione del patrimonio che la vittoria del fantasy le ha consegnato.
 
Il che non vuol dire, ovviamente, che nessun altro crei o produca film "canonici" che varrebbe la pena di vedere. Vuol dire solo che prima o poi mi tornerà la voglia di vederli, probabilmente. Nel frattempo mi rieduco a tempi e ritmi da sala e alla totale immersività 3D, riflettendo sulle trasformazioni del senso comune relativo a questi spettacoli. E alle scintille di ironia che è possibile pescare anche in storie come questa, squisitamente action movie, dove i Templari non sono più interessati alla Mela dell'Eden, che permetterebbe loro di sopprimere il libero arbitrio dell'umanità e di rimuovere aggressività e violenza - programma del tutto moderno - perché tanto gli uomini hanno rinunciato all'autonomia di pensiero per conto loro e ora vogliono solo obbedire... Per il resto il cast è stellare, con Michael Fassbender e Marion Cotillard in pole, ma devo ammettere poco soddisfacente, soprattutto nelle parti ambientate nel presente. Credo sia una scelta di regia, sulla quale però ho serie riserve: tempi teatrali, enfasi eccessiva, il tutto assolutamente disallineato dal ritmo delle altre sequenze e difficilmente comprensibile. Resta comunque una possibilità di serata interessante.

giovedì 5 gennaio 2017

Imbrunire

 


Sono sereno
Come l'imbrunire
   E mi manchi

Deadpool

Sul serio, se voi foste Stan Lee, non sareste andati ad aprire tutti i cassetti e gli armadi della Marvel per trovare fino all'ultima idea, proposta, abbozzo o delirio che vi hanno presentato o vi siete inventati negli ultimi quarant'anni? Dei del Walhalla, la produzione di qualunque cosa abbia a che fare con supereroi e affini è alle stelle - altro riflesso di quella cosa dell'"abbiamo vinto e non ce ne siamo accorti" che dicevo l'altro giorno - e pare che il mercato, bontà sua!, non cerchi altro. Così il filone ironico, dark con toni splatter si arricchisce quotidianamente di nuovi fulgidi esempi, sempre meno adatti ai pupi. Sempre più irriverenti. Dopo Gli Incredibili, che era semplicemente spassoso; dopo Hancock, che qualche problema già lo creava; abbiamo ora Deadpool, alias Wade Wilson, al secolo Ryan Reynolds, che come dice lui sarà pure super, ma di sicuro non è un eroe.

Tra un kebab di avversario e l'altro, scopriamo la sua nascita alla supereroitudine per mano del fetente Francis, alias Ajax che però suona troppo come un detersivo per piatti: tentativo estremo di salvarsi da El Cancer, la cura genetica lo trasforma in un bruttone praticamente immortale e lui si risente parecchio, tanto da devolvere l'intero film alla ricerca di Francis, nella speranza che possa restituirgli una faccia decente per tornare dalla sua ex, la bella Vanessa, al secolo Morena Baccarin, evidente plus della produzione 😎

Il film è irto di citazioni e votato alla corrosione ironica dei luoghi comuni del genere. Ci
riesce quasi sempre bene, miscelando senza smagliature battute acide, umorismo da trivio e insolite allusioni sessuali
Wade Wilson: [to Vanessa] Your right leg is Thanksgiving and your left leg is Christmas. Can I come and visit you between the holidays? 
nonché una bella quota di humour surreale o direttamente assurdo
Deadpool: [waving his broken wrists] All dinosaurs feared the T-Rex!
Nel complesso lo definirei un esperimento interessante e del buon materiale per ragionare sulla peculiare evoluzione della figura dell'eroe di questi tempi. Se poi ci si aggiunge un tocco di X-Men, sia per la genesi del personaggio che questo episodio, il cocktail è niente male. Staremo a vedere, visti i teneri rapporti tra Deadpool e gli allievi del buon Xavier
Negasonic Teenage Warhead: You guys going for a bite? Early bird special?
Deadpool: Oh, like there's something wrong with eating before sundown or saving money. No, you know that bad guy that you let go? He's got my girl. You're gonna help me get her back.
Colossus: [voice from inside the mansion] Wade, is that you?
Deadpool: Yeah, it's me, Deadpool, and I got an offer that you can't refuse. I'm gonna wait out here, okay? It's a big house. It's funny that I only ever see two of you. It's almost like the studio couldn't afford another X-Man.
 

domenica 1 gennaio 2017

Now You See Me

Ogni volta che vedo Now You See Me mi viene voglia di studiare magia e illusione! E non credo di essere il solo; purtroppo la vita è già andata per conto suo, quindi mi toccherà aspettare la prossima, o quelle dopo se considero il cantante rock e l'artista... Mah, per il momento mi limito, da artigiano delle parole, a buttare giù qualche idea in proposito.
Idee tanto per cambiare scomode, dato che vanno a finire su un tema che mi frulla in testa da un po' ed è parecchio destabilizzante
Cosa è realtà?
Ci siamo asserragliati in un sistema di rappresentazioni che pretendiamo consolidato e affidabile. Come si dice, "le chiacchiere stanno a zero", "questi sono i fatti" e altre consimili amenità, tutto per affermare e confermare che c'è un set di certezze dalle quali non si scappa, che stanno lì e ci proteggono da noi stessi e dal resto delle cose che si aggirano ai limiti. Poi arrivano quattro Cavalieri - strano nome, no? per dei truffatori...  - che ci dimostrano, fatti alla mano, che le certezze possono liquefarsi, mutare. Peggio, essere manipolate da chiunque sappia come.
Com'è possibile? Dov'è l'inganno? Strano a dirsi, per la massima parte l'inganno è in noi, siamo noi. I falsi assunti sulla nostra attenzione e capacità di verificare ciò che essa ci riferisce, i falsi racconti su quanto siamo presenti a noi stessi. Ad andare un po' oltre, i falsi racconti su noi stessi.
Ci sono precondizioni sul nostro essere presenti a noi stessi, filtri involontari e distorsioni che andrebbero conosciuti, perché devi sapere con chi hai a che fare, anche se sei tu stesso quello con cui hai a che fare: punti ciechi, integrazioni, punti deboli della tua autorappresentazione che saranno sempre lì e che dovresti cercare di ricordarti, quando trinci giudizi o ti compiaci di te. Perché in fondo non sei male, ma sei diverso da quello che ti racconti. E che ti raccontano.
Certo, non è detto che si incontrino professionisti di questo stampo in una vita normale. Siamo tutti un po' professionisti di questo genere, però. Intuiamo quando chi ci sta di fronte ha talloni di Achille o lascia trapelare debolezze o messaggi che preferirebbe tenere per sé, a essere bravi intuiamo anche quando qualcuno cerca di fare lo stesso con noi. E' episodico, però, e le difese intime tendono a negarlo, perché non ci piace sentirci esposti, indifesi, incapaci di badare a noi stessi. Ho il sospetto che il non esaltante riscontro di botteghino di questi bei film sia legato anche a questo: alla sensazione semiconsapevole che il racconto che narrano abbia a che fare con noi anche troppo, al di là degli splendidi effetti e della vera magia di molte delle scene. E' probabile, ma un peccato.