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sabato 30 dicembre 2017

Monet al Vittoriano

Pare che le cose si organizzino per una loro logica interna della quale ad oggi non abbiamo idea e che se le si lascia fare facciano bei regali. Perlomeno a volte. E' un po' quello che mi sta capitando in questo periodo. Dopo Hokusai, sono andato a vedere la mostra qui accanto senza un particolare entusiasmo, dato che adoro Monet e lo conosco abbastanza: era un po' come una visita a un vecchio amico. E invece mi sono trovato di fronte a opere dell'ultima fase che mi hanno strabiliato, come queste splendide Rose dal formato imponente 1,80x3,20 e i pannelli monumentali dedicati ai glicini e alle ninfee... Roba da sindrome di Stendhal e di nuovo una

leggerezza e un'indeterminazione che nascondono qualcosa di più, un modo di ritrarre e presentare la realtà che è una pista di comprensione che andrà battuta. Non a caso il buon Monet era un appassionato di arte giapponese e di Hokusai in particolare, come dovrebbe essere piuttosto evidente: è una rivelazione che rasenta l'epifania, qualcosa che molto di rado siamo in grado di replicare nei nostri scritti. Riuscirci - o almeno provarci! - lo metterei tra i buoni propositi del nuovo anno ;)
 

domenica 17 dicembre 2017

Rotte a partire da Hokusai

Hokusai - Sulle orme del Maestro
Di ritorno dalla mostra di Hokusai all'Ara Pacis, pochi appunti sparsi. Al di là dello splendore dei kimono e della nitidezza dei particolari, la cosa che più colpisce è la grazia frattale dei motivi, come nella Grande Onda qui sopra, il ritmo di sezione aurea che pervade ogni cosa. In questa Onda femminile credo che la cosa sia ancora più evidente, per non dire della spirale sullo sfondo che aprirebbe a una labirintica indagine immaginale...


Non solo. La ricchezza e il genio di un autore non stanno soltanto nella bellezza delle emozioni e sensazioni che suscita, ma anche negli echi che risveglia. Le opere di Hokusai riattivano ricordi, armonie ormai seminascoste. Sarebbe impossibile ora non accostare i suoi Luoghi memorabili ai panorami del multiverso di Roger Dean. La stessa leggerezza eterea, le stesse atmosfere dove la materia esiste anche nel colore e nell'infinita apertura dei cieli, nel gioco con la gravità.

domenica 19 febbraio 2017

The Disunited States of America

Ogni tanto mi faccio violenza da solo, lo ammetto. Pare serva, però. E così invece di una rilassante fuga in qualche serial stasera mi sono dedicato a un docufilm di stretta attualità, The Disunited States of America. Non ne sono affatto pentito, anche se l'amarezza è alle stelle. Non tanto per lo spoiler - si sapeva benissimo chi fosse l'assassino - quanto per la banalità del tutto, che ti sbatte in faccia l'inutilità delle analisi senza uno straccio d'anestesia. Di quasi tutte le analisi, almeno: Michael Moore l'aveva detto con largo anticipo e nel documentario i 5 punti con cui aveva giustificato il suo scoramento sono belli squadernati, come dicevo senza filtri. L'avevo letto, al tempo, ma pur con un senso di gelo nell'anima mi ero detto "maddai, è oltre il pensabile che vinca uno così!".

Complimenti vivissimi allo scienziato sociale! Non tanto per la riluttanza ad accettare il mondo fuori dall'esperienza diretta - e ad accettare l'esperienza diretta per quel che è - quanto perché il titolo del docufilm chiarisce inequivocabilmente che la cosa può essere letta da un altro punto di vista, che mi è maledettamente familiare. Direi meglio che DEVE essere letta da quel punto di vista, che per il momento continuo a riscontrare in certe dinamiche e a rifiutare in altre.
 
"A divisive campaign," l'hanno chiamata. All'anima, verrebbe da dire alla romana, ed è proprio questo il punto: quando parli da anni del predominio incontrastato del paradigma esclusivo e dell'operazione della divisione, come puoi aspettarti che questa non si rivolga sempre più contro l'esistente che ironicamente vorrebbe usarla per tutelarsi? Da decenni assistiamo alla lacerazione di tutto ciò che non è "puro", omogeneo: stati plurinazionali, minoranze più o meno immaginarie, partiti politici e movimenti. Per quale motivo a un certo punto la spirale dovrebbe arrestarsi? Baudrillard l'ha detto magnificamente già nel 1976: "La definizione dell'Umano è, al livello della cultura, inesorabilmente ristretta: ogni progresso 'oggettivo' della civilizzazione verso l'universale ha corrisposto a una discriminazione più stretta, al punto che si può intravvedere il tempo dell'universalità definitiva dell'Uomo, che coinciderà con la scomunica di tutti gli uomini - e in cui la purezza del concetto splenderà sola nel vuoto".

Come pensare che qualcosa - qualsiasi cosa - resti unito quando il quadro generale all'interno del quale è nata si è lentamente alterato così da privilegiare unilateralmente, maniacalmente la divisione? L'urgenza della riscoperta dell'autoaggregazione, della coevoluzione è assoluta, ma come si potrà realizzarla in tempo, quando la gran parte dell'umanità non ascolta, non vuole ascoltare e non può più ascoltare per miopia, incapacità, vergogna, frustrazione? C'è in effetti ben poco da stare allegri.

domenica 12 febbraio 2017

Da Franco Rella - Miti e figure del moderno

http://www.deviantart.com/art/Epiphany-64380301La memoria involontaria ci dona immagini piene di verità, ma questa verità è inafferrabile. Se noi cerchiamo di ripetere il gesto che ha suscitato il lampo della memoria involontaria, questo gesto si fa abitudine, e l'immagine svanisce nel grigiore del quotidiano. Bisogna rendere l'involontario necessario, e, in qualche modo, ripetibile (p. 14).

http://www.deviantart.com/art/Unexpected-644057501 

La foresta di segni e di simboli, anziché indurre al terrore o all'orrore, proprio in quanto inestricabile mescolanza di contrari, dà alla nostra vita "sapore ed ebbrezza". L'ebbrezza che nasce dal "meraviglioso quotidiano", dal "gusto e dalla percezione dell'insolito". La porta del mistero si è aperta. L'errore l'ha dischiusa. Infatti, proprio ciò che è confuso contiene quelle serrature che "chiudono male verso l'infinito" (p. 98)

lunedì 30 gennaio 2017

Split

Le cose tendono a sovrapporsi, a rinviare le une alle altre. E la trama di questi rimandi disegna un clima, un affresco. Dice Durand, un "bacino semantico". Credo che valga anche l'idea di Zeitgeist, lo spirito del tempo: una sensibilità comune, un ritorno a spirale di temi e simboli che illustrano degli archetipi, le costellazioni che si avviano allo zenith mentre altre si inabissano pian piano dopo lunghi periodi di predominio.
Che c'entra questo con Split, direte voi? Forse niente, forse parecchio: queste cose non hanno un modo oggettivo di darsi a vedere; fanno anzi le smorfiose, ammiccano, spariscono, si travestono. Baudelaire, molto più versato di me, parlava della realtà come "foresta di simboli" per orientarsi nella quale serve una certa competenza. Un certo fiuto fatto di monomanie, intuizioni, aperture anche eccessive. Però c'è una cosa: ho appena finito di scrivere un saggio dove traccio qualcuno di questi rinvii andandomela a prendere con gli zombie, che sono una delle costanti della fiction del periodo. Uno dei tratti che li caratterizzano è quello dell'orda, della moltitudine caotica che distrugge ogni cosa: il formicolio, il brulichio rinviano allo schema dell'animato di Durand, al terrore irriflesso per l'opera del tempo.

Ora Kevin - il bravissimo James McAvoy - ospita 23 personalità, che già di per loro sono un bel numero. Alcune sono carine, gentili; altre diabetiche; altre meno alla mano, tanto che il gran consesso tende a impedir loro di venire alla luce. Per qualche strano motivo, però, al momento hanno preso il potere grazie a un bambino di nove anni e si scopre che le altre le chiamano... l'Orda. Ce n'è abbastanza per insospettirsi. Che dirne? Che dopo aver devastato il mondo esterno, il tornado che sta investendo la cultura occidentale si sposta nell'intimo di ognuno, scoprendo alla fine che il mito dell'individuo era proprio questo: un mito, ora al tramonto. E che le tante dimensioni con le quali conviviamo di solito senza farci troppo caso, stufe di questo continuo disconoscimento, stanno per devastare i territori interiori come The Walking Dead hanno fatto dell'America? Si potrebbe e non si andrebbe granché lontano da un'interpretazione plausibile, in linea con le tematiche che affronta di solito M. Night Shyamalan. Il quale però rilancia e scopre silver linings che altrove non si trovano. Motivi di speranza - o almeno di dubbio - fortemente contraddittoriali, ma che vanno a intercettare altre questioni aperte del paradigma dominante: i rapporti tra mente e corpo, ad esempio; il perenne equivoco dell'animalità umana. Anomalie che la scienza si trova tra i piedi - come la faccenda di un'unica personalità diabetica e l'ipotesi buttata lì che le diverse personalità non si limitino ad essere cortocircuiti del cervello, ma riescano a modificare struttura e caratteri del corpo. Anomalie che culminano nella Bestia e nell'interrogativo che suscita su poteri umani nascosti e forse sviati da una certa forma mentis... Sul film ho qualche riserva, sull'immaginario che sonda nessuna 😄