lunedì 30 gennaio 2017

Split

Le cose tendono a sovrapporsi, a rinviare le une alle altre. E la trama di questi rimandi disegna un clima, un affresco. Dice Durand, un "bacino semantico". Credo che valga anche l'idea di Zeitgeist, lo spirito del tempo: una sensibilità comune, un ritorno a spirale di temi e simboli che illustrano degli archetipi, le costellazioni che si avviano allo zenith mentre altre si inabissano pian piano dopo lunghi periodi di predominio.
Che c'entra questo con Split, direte voi? Forse niente, forse parecchio: queste cose non hanno un modo oggettivo di darsi a vedere; fanno anzi le smorfiose, ammiccano, spariscono, si travestono. Baudelaire, molto più versato di me, parlava della realtà come "foresta di simboli" per orientarsi nella quale serve una certa competenza. Un certo fiuto fatto di monomanie, intuizioni, aperture anche eccessive. Però c'è una cosa: ho appena finito di scrivere un saggio dove traccio qualcuno di questi rinvii andandomela a prendere con gli zombie, che sono una delle costanti della fiction del periodo. Uno dei tratti che li caratterizzano è quello dell'orda, della moltitudine caotica che distrugge ogni cosa: il formicolio, il brulichio rinviano allo schema dell'animato di Durand, al terrore irriflesso per l'opera del tempo.

Ora Kevin - il bravissimo James McAvoy - ospita 23 personalità, che già di per loro sono un bel numero. Alcune sono carine, gentili; altre diabetiche; altre meno alla mano, tanto che il gran consesso tende a impedir loro di venire alla luce. Per qualche strano motivo, però, al momento hanno preso il potere grazie a un bambino di nove anni e si scopre che le altre le chiamano... l'Orda. Ce n'è abbastanza per insospettirsi. Che dirne? Che dopo aver devastato il mondo esterno, il tornado che sta investendo la cultura occidentale si sposta nell'intimo di ognuno, scoprendo alla fine che il mito dell'individuo era proprio questo: un mito, ora al tramonto. E che le tante dimensioni con le quali conviviamo di solito senza farci troppo caso, stufe di questo continuo disconoscimento, stanno per devastare i territori interiori come The Walking Dead hanno fatto dell'America? Si potrebbe e non si andrebbe granché lontano da un'interpretazione plausibile, in linea con le tematiche che affronta di solito M. Night Shyamalan. Il quale però rilancia e scopre silver linings che altrove non si trovano. Motivi di speranza - o almeno di dubbio - fortemente contraddittoriali, ma che vanno a intercettare altre questioni aperte del paradigma dominante: i rapporti tra mente e corpo, ad esempio; il perenne equivoco dell'animalità umana. Anomalie che la scienza si trova tra i piedi - come la faccenda di un'unica personalità diabetica e l'ipotesi buttata lì che le diverse personalità non si limitino ad essere cortocircuiti del cervello, ma riescano a modificare struttura e caratteri del corpo. Anomalie che culminano nella Bestia e nell'interrogativo che suscita su poteri umani nascosti e forse sviati da una certa forma mentis... Sul film ho qualche riserva, sull'immaginario che sonda nessuna 😄

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