venerdì 26 giugno 2009

Andare a Parigi è sempre un'esperienza. Con la fortuna di una frequentazione non troppo episodica, poi, ci si riesce a muovere fuori dai frenetici ritmi turistici, andando per mostre, per vie, per luoghi meno abituali. E così, la settimana scorsa, oltre all'ormai tradizionale convegno solstiziale del CEAQ, mi sono fatto qualche regalino, comeVasily Kandinsky - Etages sempre anche con l'aiuto di un po' di zen. Si parte con una personale dedicata a Kandinsky a Beaubourg, visitabile fino al 10 agosto, per chi si trovasse a passare da quelle parti. Viaggio molto esauriente - forse persino troppo - nell'opera di un artista centrale del Novecento, nel quale si dà a vedere con chiarezza cristallina lo spartiacque tra astrazione e organicità, tra ricerca di simmetria ed essenzialità e tripudio di forme giocose e viventi. Per quanto possa sembrare strano, la mia preferenza va in questo caso alle ultime fasi, dal logo della mostra in poi. Vi ho trovato anche un omaggio di Feininger che costituirà la copertina di un mio romanzo, sempre che prima o poi lo finisca :) Poi, per restare nell'artistico, sono inciampato in un'altra cosa della quale non avevo proprio idea: Une image peut en cacher une autreuna mostra proprio strana, per la quale l'eventuale visitatore dovrà sbrigarsi, perché regge fino al 29 giugno. Une image peut en cacher une autre, ossia tutte le illusioni ottiche, i trucchi compositivi, le sciarade in immagine e chi più ne ha più ne metta create da secoli a questa parte con gli intenti più diversi. Cose pregevoli, inusuali e la presenza significativa dei lavori di tre autori chiave: Arcimboldo (con tre delle Quattro stagioni), Dalì (imperdibile l'intervista in video) e Raetz, con una stupefacente ultima sala di opere vertiginose. C'è stata anche la Biblioteca François Mitterand, la Festa della Musica con un eccellente concerto al Centre Culturel Italien e la presentazione del libro di un amico, ma per questo un altro post
Vasily Kandinsky - Le parc de Saint-Cloud

martedì 2 giugno 2009

E come Kakuzo Ozakura, l'autore del Libro del tè, che si addolorava per la rivolta delle tribù mongole nel XIII secolo non perché avesse causato morte e afflizione, ma perché aveva distrutto l'arte del tè, il più prezioso tra i frutti della cultura Song, anch'io so bene che il tè non è una bevanda qualunque. Quando diventa rituale, rappresenta tutta la capacità di vedere la grandezza nelle piccole cose. Dove si trova la bellezza? Nelle grandi cose che, come le altre, sono destinate a morire, oppure nelle piccole che, senza nessuna pretesa, sanno incastonare nell'attimo una gemma di infinito?
Il rituale del tè, quel puntuale rinnovarsi degli stessi gesti e della stessa degustazione, quell'accesso a sensazioni semplici, autentiche e raffinate, quella libertà concessa a tutti, a poco prezzo, di diventare aristocratici del gusto, perché il tè è la bevanda dei ricchi così come dei poveri, il rituale del tè, quindi, ha la straordinaria virtù di aprire una breccia di serena armonia nell'assurdità delle nostre vite. Sì, l'universo tende segretamente alla vacuità, le anime perdute rimpiangono la bellezza, l'insensatezza ci accerchia. Allora beviamo una tazza di tè. Scende il silenzio, fuori si ode il vento che soffia, le foglie autunnali stormiscono e volano via, il gatto dorme in una calda luce. E, a ogni sorso, il tempo si sublima.

Muriel Barbery, L'eleganza del riccio, Roma, e/o, 2007, pp. 83-84.
Tea Magic