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sabato 30 dicembre 2017

Monet al Vittoriano

Pare che le cose si organizzino per una loro logica interna della quale ad oggi non abbiamo idea e che se le si lascia fare facciano bei regali. Perlomeno a volte. E' un po' quello che mi sta capitando in questo periodo. Dopo Hokusai, sono andato a vedere la mostra qui accanto senza un particolare entusiasmo, dato che adoro Monet e lo conosco abbastanza: era un po' come una visita a un vecchio amico. E invece mi sono trovato di fronte a opere dell'ultima fase che mi hanno strabiliato, come queste splendide Rose dal formato imponente 1,80x3,20 e i pannelli monumentali dedicati ai glicini e alle ninfee... Roba da sindrome di Stendhal e di nuovo una

leggerezza e un'indeterminazione che nascondono qualcosa di più, un modo di ritrarre e presentare la realtà che è una pista di comprensione che andrà battuta. Non a caso il buon Monet era un appassionato di arte giapponese e di Hokusai in particolare, come dovrebbe essere piuttosto evidente: è una rivelazione che rasenta l'epifania, qualcosa che molto di rado siamo in grado di replicare nei nostri scritti. Riuscirci - o almeno provarci! - lo metterei tra i buoni propositi del nuovo anno ;)
 

domenica 17 dicembre 2017

Rotte a partire da Hokusai

Hokusai - Sulle orme del Maestro
Di ritorno dalla mostra di Hokusai all'Ara Pacis, pochi appunti sparsi. Al di là dello splendore dei kimono e della nitidezza dei particolari, la cosa che più colpisce è la grazia frattale dei motivi, come nella Grande Onda qui sopra, il ritmo di sezione aurea che pervade ogni cosa. In questa Onda femminile credo che la cosa sia ancora più evidente, per non dire della spirale sullo sfondo che aprirebbe a una labirintica indagine immaginale...


Non solo. La ricchezza e il genio di un autore non stanno soltanto nella bellezza delle emozioni e sensazioni che suscita, ma anche negli echi che risveglia. Le opere di Hokusai riattivano ricordi, armonie ormai seminascoste. Sarebbe impossibile ora non accostare i suoi Luoghi memorabili ai panorami del multiverso di Roger Dean. La stessa leggerezza eterea, le stesse atmosfere dove la materia esiste anche nel colore e nell'infinita apertura dei cieli, nel gioco con la gravità.

domenica 13 gennaio 2013

L'atlante delle nuvole

L'avevo detto che oggi avrei battuto un colpo per il versante più "sofisticato" del cinema. E così è stato. Cloud Atlas è un bel rientro, in special modo in matinée alle 11 :) Tanto per cambiare, il mio essere un tantino inattuale non mi ha fatto prendere coscienza in anticipo del dibattito innescato dal film, di cui trovate qui un buon riepilogo. Così non mi sono posto - come sempre d'altronde - domande sul botteghino, la ricezione del pubblico e le doti più specificamente filmiche della cosa. L'ho guardato in modo il più possibile im-mediato e devo dire che mi è piaciuto assai. Anzi, devo dire che quando esco da incontri di questo genere mi sento meno solo :) A essere proprio sincero, mi sono anche un tantino commosso, perché trovare la materia su cui rifletto e scrivo da anni, che cerco di insegnare e proporre alla critica soggettiva più ampia, fatta film è piacevole, dà un po' il senso di un sentiero che vale la pena di percorrere. E' vero, ormai la frase "Tutto è connesso" è perfino inflazionata. Se ripenso a Jurassic Park o a Dirk Gently agenzia investigativa olistica del compianto e geniale Douglas Adams, vedo le prime prese di coscienza visionarie, ma la domanda è: questa inflazione è dovuta solo a una moda oppure segnala un movimento profondo dell'immaginario? Come dicevo ieri, la narrazione di questo tempo è sempre meno coerente col regime diurno della modernità, sempre più sensibile e attenta alla relazione. Credo che Simmel si sarebbe commosso anche lui vedendolo, perché la sua Wechselwirkung è oggi racconto più o meno condiviso, interferenza continua tra scienza, pensiero orientale, arte e perfino industria cinematografica. E Durand non avrebbe potuto non notare che qui siamo in pieno notturno, nella confusione delle linee temporali - uno dei tabù più consolidati della nostra cultura - dei generi narrativi e sessuali, della coerenza narrativa che si emancipa dalla linearità del Logos per tentare di dire altro. Una sensazione, un'intuizione ancora informe, ma che viene precisandosi passo passo. Questo ritengo sia importante, al di là delle difficoltà o meno della trama, delle fulminazioni più o meno felici - bellissima l'idea dell'Unanimità e il refrain dell'Ordine, in piena critica dello strutturalismo razionale. Imho film e libri di questo genere annunciano un altro futuro possibile, per la nostra cultura e per la Terra.

lunedì 17 settembre 2012

Sono assolutamente incantevoli e vanno in giro proprio così, giuro! Anche di notte, perché da qualche tempo il Bioparco di Roma ha inaugurato delle visite serali/notturne su appuntamento corredate da guide e incontri con i responsabili dei diversi dipartimenti degli ospiti (carnivori, elefanti, lemuri per l'appunto) che sono piacevoli e istruttive. Il tutto incorniciato in momenti di animazione per i più piccoli, che sono il target principale dell'istituzione, anche se ho il sospetto che dovrebbe un tantino rivedere le sue analisi di mercato. D'altro canto 17 ettari di bioparco nel cuore di Roma, dove lo sforzo per assicurare agli ospiti un soggiorno almeno sopportabile è visibile, sono una destinazione che può fare anche al caso di qualcuno un po' più cresciuto. Chi fosse interessato può chiamare lo 06 3608211 per info e prenotazione per la Safari Night.


domenica 19 agosto 2012

Quando hai la scusa di accompagnare un'amica in giro per Roma perché non c'è mai stata, puoi veramente sbizzarirti :) Se poi l'amica condivide l'interesse per l'arte e le installazioni contemporanee ancora meglio. Così ti trovi in giro per una domenica d'agosto in cui si minacciano sfracelli di caldo - non so se questo doveva essere Cochiss o Karamazov, fatto sta che come al solito l'allarme mi è parso un tantino fuori misura - e capiti a villa Medici, testa di ponte di quei furbacchioni dei francesi, a dare un'occhiata a una mostra dall'esotico titolo Tappeti volanti. Dove il curatore, Philippe-Alain Michaud, si è divertito a raccogliere cose più o meno materiali che giocano nel campo semantico dell'oggetto immaginario in questione. E c'è riuscito bene: a parte gli splendidi tappeti storici che mi hanno suggerito diverse analogie per una cosa che sto scrivendo sui giardini, ci sono installazioni di grande impatto come Hannoun di Taysir Batniji, adattata per l'occasione a una splendida sala con resti in pietra, realizzata con temperature di matita, proiezioni di film più o meno d'epoca con bellissimi proiettori quelli sì d'epoca e altre prelibatezze. Vale decisamente la pena, tra l'altro è anche economica e veloce, una mezz'ora a spasso tra le nuvole. 

Se invece passeggi per la città e il caldo si fa pesante - ma sono le due di una domenica d'agosto, che t'aspetti? - finisci dalle parti del Chiostro del Bramante e incontri uno dei pittori che mi stanno più simpatici, pur senza piacermi troppo: Joan Miro'. Lavori del periodo di Majorca, estremamente materiali, incuranti di altro che non sia la ricerca del maestro, in begli ambienti, dai quali ho tratto un paio di fulminazioni: Mirò è stato il primo creatore di Angry Birds - gli occhi dei suoi uccelli sono incredibilmente espressivi e simili alle piccole pesti che ultimamente spuntano per ogni dove!; voglio anch'io uno studio dove poter sperimentare senza preoccuparmi di sporcare, rovesciare colori o raccogliere oggetti improbabili in attesa di epifanie. Ho la sensazione che ne potrebbe venir fuori qualcosa di buono :) Anche qui qualche ora la perderei, il cammino dell'artista maturo verso l'essenziale è affascinante!

venerdì 27 aprile 2012

Credo di poter dire che questo è il primo serial della nuova era che prima o poi dovrà iniziare per la nostra cultura. Di conseguenza posso anche affermare con quasi certezza che non andrà oltre la prima stagione, visto che i signori della produzione continuano a ragionare in termini quantitativi di ascolti attuali invece di rischiare ogni tanto di orientare quelli futuri. Poco male, ormai ci sono abituato. Mi contento di registrare i segni sempre più chiari del fatidico nuovo che avanza, che mostra i tratti familiari delle letture di Rifkin, con la sua civiltà dell'empatia ventura, e di Morin. In particolare Touch dev'essere scritto da qualcuno che ha una certa frequentazione con I sette saperi, perché ne è un'applicazione puntuale. Come fa, in effetti, a trovare un largo pubblico - largo come piace a lorsignori, ovviamente, perché ha nonostante tutto un discreto seguito - una serie che fa della condivisione e cooperazione le sue parole chiave e che sottolinea incessamente la posizione dell'uomo insieme-a le altre specie del pianeta? Sin dai titoli di testa, l'analogia suggerita tra il regno animale e la società umana è evidente e il rinvio a una trama comune, olistica, che lega ogni essere vivente (e probabilmente anche non vivente) è il filo rosso della serie.
 
Filo rosso di cui sono coscienti, guarda caso, personaggi che non parlano o parlano fuori dai canoni: autistici, come il figlio del mio adorato Kiefer Sutherland, aka Jack Bauer; folli visionari, come il Principe invisibile. La ragione come la intendiamo non gioca un grande ruolo in questa partita! A proposito del Principe invisibile, poi, c'è quasi di che farsi scappare la lacrimuccia: è uno che fa buone azioni stando rigorosamente attento a che i destinatari non lo sappiano, tanto per evitare che qualcuno lo accusi di egoismo travestito o di progetti di incremento del capitale sociale *lol* e investe Cavaliere invisibile il buon Kiefer per evidenti meriti sul campo. Una serie dove non muore nessuno e la missione del protagonista è alleviare il dolore nel mondo sacrificando il suo lavoro e la sua vita alla fede in un figlio che non parla è tutto sommato un atto di coraggio; che poi strada facendo tremino le vene ai polsi davanti alla perdita degli incassi previsti (previsti, e poi qualcuno mi dice che l'economia non è solo una grande derivazione à la Pareto!) oggi è normale. Ci vuole ancora pazienza, ma sempre meno, con un po' di fortuna!

sabato 21 aprile 2012

"All those moments will be lost in time like tears in rain. Time to die."

A volte il combinato disposto di MySky e del caso regala momenti ineffabili. In particolare in giornate in cui la risposta emotiva è di per sé molto forte, chissà perché. Dopo essermi emozionato per una serie di incontri su YouTube scaturiti dal riascolto di Station To Station di David Bowie l'altra mattina, stasera mi sono rivisto (si fa per dire, non ricordavo un tubo, salvo qualche spot sigh) Blade Runner, in director's cut - sprecato vista l'amnesia di cui sopra, ora mi toccherà rivedere anche la versione standard lol. E mi è venuta voglia di studiarlo per bene, in particolare come prosieguo della riflessione sui cyborg di qualche tempo fa. A parte questo, come per le canzoni del White Duke, il piacere è stato grande, forse ancor più della prima volta: certe opere sono libere dallo scorrere del tempo, paradossalmente la celeberrima battuta di Rutger Hauer non vi si applica. E poi vi si fanno incontri peculiari, come il buon Edward James Olmos, dopo Miami Vice il comandante Adamo di Battlestar Galactica: mi chiedo se quando gli hanno proposto quest'ultimo impegno gli sia venuto da ridere all'idea di ritrovarsi ad aver a che fare di nuovo con dei "lavori in pelle". In effetti questo è uno dei motivi per cui lo studio dei testi pare imporsi: la nostra immaginazione proprio non riesce a fare a meno di confrontarsi con l'idea di creazione e di non trovarsene all'altezza... In prima analisi la divinità ci spaventa e l'atto fondamentale risveglia tutti i dubbi che ci portiamo dentro su noi stessi, invece di alleviarli. Il quadro, poi, all'interno del quale questo avviene è desolante: una LA allucinante, sporca, sovraffolata, multirazziale nel peggiore dei modi dove è effettivamente difficile immaginare di voler o poter vivere. Eppure, dopo i bastioni di Orione e i cancelli di Tannhauser, Roy Batty viene a morire proprio qui, nella disperata ricerca di altra vita. Un film denso, come ne capitano di rado, che merita visioni ripetute e qualche riflessione!

domenica 25 marzo 2012

Fine settimana a Lecce, al recupero di uno smartbox che tanto per cambiare stava per scadere :) Città sorprendente: mi chiedo chi ci fosse di laico qualche secolo fa, vista la densità di chiese e conventi, scioccante perfino per un romano! Il barocco però è sublime, l'atmosfera piacevole, la cucina spettacolare - mi mancherà il pasticciotto... E nel frattempo trovato anche il modo di tenermi al corrente della produzione cinematografica: The Raven non era forse la cosa migliore da vedere, ma avevo un debito con Poe e con Alan Parsons, ragion per cui ecco qui. Inizio dicendo che John Cusack non mi piace e questa nuova prova non mi ha fatto cambiare idea: un attore inconsistente, un doppiaggio che lascia a desiderare, nel complesso si poteva fare molto meglio. Come per esempio Luke Evans, nei panni dell'ispettore Fields. Per il resto trama complicata, ma tutto sommato poco stimolante, atmosfere intriganti e ricostruzione efficace. Un film vedibile, senza strapparsi i capelli tuttavia, soprattutto chi ne ha pochi come me ;)

giovedì 21 aprile 2011

I love radio rock
A volte ritardo a scrivere i post, altre no *LOL* qui siamo evidentemente tra le seconde, perché I love radio rock è proprio il tipo di film che mi ricorda che IO AMO IL ROCK :) Anche se mi fa venire una dannata nostalgia, non tanto dei tempi ormai leggendari dei pirati rock come quelli splendidamente descritti e interpretati - ero troppo piccolo, incredibile ma vero! - ma del vinile e dei passaparola con gli amici a proposito della nuova band che NON potevi non ascoltare, delle frequenze delle nostre radio rock, dei pomeriggi in religioso silenzio in ascolto del nuovo LP che aspettavamo da secoli (si fa per dire). Un'altra dimensione che già da sola fa impallidire la musica sciapa e preconfezionata che gira oggi. Lo so, lo so, ma come dice Philip Seymour Hoffman, il Conte, "erano i migliori anni della nostra vita" non tanto per noi, quanto per il mondo attorno. E guardando il film non puoi non vederlo, gente che balla ovunque, con chiunque, nei parchi, nei bar, nelle case. Dancing in the streets, cantavano i Mamas and Papas e qui te ne accorgi veramente: musica come relazione, come gioia, come missione. Non come solo un altro modo di fare soldi ed essere famosi. E se il rock riesce ancora a dirtelo, forse non tutto è perduto, forse non c'è solo il grigiore, ma puoi ancora ballare attorno alla sedia insieme a quei fantastici dj e i loro incredibili, sconvolgenti cappotti. Tutti fa-vo-lo-si, ma Bill Nighy e Rhys Ifans meritano una menzione a parte. Film da rivedere e rivedere e rivedere...

Bill Nighy

sabato 4 dicembre 2010

Van Gogh - Mostra al Vittoriano fino al 2/2/2011

Le cose hanno questo strano modo di affollartisi in mente, rientri e si accavallano. Un po' d'ordine richiede prima di tutto un giudizio sulla mostra: deludente. Tendenzialmente per specialisti, vista la preponderanza di materiali tangenziali - come la collezione di stampe o di libri del buon Vincent - o di secondaria importanza. Fin qui però potrebbe anche starci, c'erano molte cose mai viste e un interessante dispositivo di paragone con altri artisti contemporanei, in un gioco di rimandi e citazioni notevole. MA: il gioco è lasciato interamente alle audioguide o alle guide in carne e ossa, nelle sale ci sono solo pannelli molto scarni e l'insieme dei materiali diciamo didattici è affollato all'inizio del percorso. E poi la folla e gli spazi del Vittoriano ridisposti in modo soffocante, costringendo alla fila anche chi volesse fruire della mostra con un minimo di anarchia.

Vincent van Gogh - Sulle rive dell'Oise
Altro ordine di considerazioni: vogliamo parlare della riproducibilità dell'opera d'arte nell'era della tecnica? Io adoro Benjamin, ma su questo specifico tema ne sono distante come Alpha Centauri. Il quadro qui sopra è bello visto così... Visto dal vivo mozza il fiato, tant'è vero che credo tornerò in un giorno infrasettimanale e in un orario sfigato per potermelo guardare con calma una mezz'ora senza torsi di broccolo che non ti vedono per niente e ti si fermano davanti chiacchierando. Direi la cosa migliore della mostra, anche se dei cipressi e delle vedute di Montmartre erano commoventi. Nel complesso, con qualche avvertenza per il giorno, consiglierei comunque la visita :)

sabato 30 ottobre 2010

Julie & JuliaCi risiamo! Non credo che finirò mai di stupirmi per le peculiari vie del sapere: fino a ieri non avevo praticamente mai sentito nominare Julia Child e il suo fantastico libro di cucina, poi ho visto il film qui accanto e riparato a questa ennesima falla :) Il film, per incidens, è piacevole e molto ben recitato dalle protagoniste Meryl Streep e Amy Adams, con un adorabile Stanley Tucci; è ispirato a ben due storie vere e dispensa un ottimismo ben temperato e un giusto amore per cibo e cucina.

A questo punto siete anche autorizzati a dire: e allora? Mica è la prima volta che vedi film che parlano di cose reali eppure finora ti sei risparmiato gli squilli di tromba. Già. Perché tutto mi sarei aspettato tranne incappare in una menzione articolata del libro della Child nel libro che sto studiando in questi giorni, L'uomo artigiano di Richard Sennett, e per di più a proposito di un tema spinoso e vissuto come tale come l'istruzione espressiva. Pare, secondo il buon Sennett, che ultimamente è un mio autore di riferimento, che Mastering the Art of French Cooking sia un eccellente esempio di illustrazione empatica, ossia di una strategia istruttiva che rifugga dall'astrattezza del sapere esperto per tornare empaticamente allo stato di apprendista di colui cui ci si rivolge, per cercare di fargli capire meglio quello che deve fare. Problema che affligge il cuoco come l'informatico come il docente universitario. Certo, non so se insegnerò come disossare un pollo per risolvere i miei dubbi di insegnamento, ma è sicuramente un bell'esempio di caso Zen lol

venerdì 29 ottobre 2010


L'écho du vide - Salvador Dalì

La sola cosa da salvare di una giornata fallimentare è stata la mostra Teatro del sogno a Perugia, nell'intervallo tra due round di una delle più sofisticate torture che l'uomo moderno abbia escogitato, il Consiglio di Facoltà lol E della mostra in questione questa qui sopra era secondo me la cosa migliore. In termini di esperienza estetica. Mi ha fermato come una parete di cristallo o una finestra aperta e un canto di sirene. Con questo non voglio affatto dire che fosse la sola cosa interessante: i bozzetti di Fellini e i suoi resoconti illustrati di sogni erano fantastici, c'erano altri quadri magnifici, da Chagall a De Chirico, da Tanguy a Ernst - del quale si trovano un paio di tele stupende. E Boccioni, che più passa il tempo e più mi piace: Il sogno di Paolo e Francesca. Però L'écho du vide è qualcos'altro...

Detto questo, per quanto fatta della materia dei sogni, la mostra avrebbe probabilmente potuto prevedere un minimo di descrizione di percorso o un qualche commento. Non che ami le pareti scritte fitte o il gergo esoterico degli storici dell'arte, ma tra loro e il buio onirico c'è una misura che si potrebbe tener presente...

Teatro del sogno


venerdì 16 luglio 2010

The Manhattan Transfer
Che dire? Ci sono capitato quasi per caso, perché erano anni che non riuscivo a sentire un concerto di Umbria Jazz e, che diamine, lavorando a Pg è assurdo! Solo che i vagabondaggi, gli impegni, la pigrizia, l'agorafobia eccetera eccetera... Così quando ho visto che eravamo in contemporanea con i Manhattan Transfer mi sono detto via, sarà una rimpatriata piacevole, anche se ormai saranno invecchiati, pure loro! Ero piccolo e giravo con il 33 di Bodies and Souls, al cambio fanno 27 anni fa. Così comincia la serata, con una bimba di nome Nikki Yanofsky, notevolissima per i suoi 16 anni ma non necessariamente entusiasmante. Segue poi Joe Sample che dai Crusaders porta con sé anche Randy Crawford e si comincia a fare sul serio *lol*
Randy Crawford a Umbria Jazz 2010
E poi, e poi... Diciamo che a ripensarci mi vengono ancora i brividi! A parte il gran finale con tanto di Chick Corea in appoggio, i quattro splendidi "vecchietti" del Vocalese hanno fatto i veri numeri a colori. A parte le note meraviglie di Java Jive, Soul Food to Go e Birdland, gli omaggi ai grandi del Jazz sono stati fantastici. Su tutti Tutu di Miles Davis, con una Cheryl Bentyne divina. E non esagero.

lunedì 25 gennaio 2010

Roger Dean - Flight of Icarus
È un problema. Occuparsi di Avatar in questo momento, a meno di non esser schierato con entusiasti o detrattori è un problema. Eppure da ieri che l'ho visto, di nuovo non so decidere. È anche vero che non sono di un granché d'umore e questo non aiuta. Da spettatore non posso che partecipare della meraviglia del nuovo formato (o medium o tecnologia) messo a punto da Cameron, riconoscere di aver passato quasi tre ore d'un fiato e di essermi debitamente esaltato alla vittoria dei buoni. Se non si chiede altroAvatar a un film direi che siamo a posto. Eppure... La prima cosa che mi viene in mente è uno dei mantra del marketing contemporaneo, tipo "With Canon you can". L'equivoco tutto occidentale e artificialista per cui solo con tecnologie sempre più sopraffine le doti creative dell'uomo possono dispiegarsi. Se la prendo da questo punto di vista trovo una storia qualunque in un packaging perfetto, la creatività mi sfugge. Non sto neanche a elencare gli esempi cinematografici di messaggi trasmessi con simili strategie rispetto ai quali vedo solo progresso tecnologico e minore finezza; penso piuttosto a universi estetici ripresi di sana pianta, come i mondi bidimensionali "canonici" di Roger Dean, un esempio dei quali apre il post. Questo Roger Dean - Butterfly Dragonqui sopra è appeso alle mie mura da trent'anni - sì, comincio ad avere un'età e non mi pare mi faccia un bell'effetto *lol* Penso anche alla saga di Thomas Covenant di Stephen Donaldson, col protagonista lebbroso qui, eroe di là e allo spessore quasi intollerabile dell'indagine. Penso agli indiani d'America, qui alti tre metri e blu, come i Puffi... Il metatesto che preferisco del film è "Non impariamo": cento e spicci anni dopo siamo gli stessi idioti brutali di ora, colonialisti e privi di qualunque sensibilità, che dalla rovina della Terra non hanno tratto alcuna lezione se non una coazione a ripetere che a questo punto può solo definirsi diabolica. Purtroppo me n'ero già accorto. Trovo poi Asimov, nella sua forma che più mi annoia, Gaia. E un altro immaginario artificialista nascosto nell'interfaccia in dotazione ai Na'vi e al resto del pianeta: non sarà la presa sulla nuca di Matrix, ma formalmente vedo poche differenze, come anche nelle similfibre ottiche che compiono l'ultimo miracolo. Fa parte del paradosso di base del film, la critica alla tecnologia realizzata con la punta di diamante della tecnologia disponibile. Una novità invece degna di nota è la reazione del pianeta, che finalmente non se ne sta buono da una parte, ma si stranisce come si deve e stronca lui i cattivi iperconfidenti. Questa potrebbe essere una buona novella: finora i cattivi sono sempre strapotenti e i buoni quattro gatti sgangherati, ma con un cuore così e una fede che raramente trova conferme. Le belve alleate sono una gradevolissima sorpresa, mentre una conferma meno esaltante dei processi attuali sta nell'indeterminatezza sessuale dei Na'vi: definire sexy l'eroina mi sembra un tantino esagerato, ma dev'essere che sono più vecchio di quanto non creda...
Il mondo Pandora

mercoledì 6 gennaio 2010

Roma La pittura di un impero
E tanti auguri per un 2010 che tutti - pare - ci auguriamo migliore del dipartito 2009. Il quale poteva anche evitare svariate cosette, se vogliamo... Comunque si è finalmente tolto dalle scatole e quindi alleluja una delle ultime cose piacevoli che mi ha regalato - nella fattispecie assieme all'abbonamento di Fabio e Bea che ringrazio pubblicamente lol - è stata la mostra qui sopra, che come vedete resta ancora una decina di giorni ed è quindi ancora a disposizione per una visita. Le mostre alle Scuderie del Quirinale mi piacciono veramente parecchio. A cominciare dalla salita alle sale per la splendida scala un tempo percorsa da corsieri e soldati, l'ambiente è accogliente, si presta a molteplici rielaborazioni e soprattutto ha il pregio di essere a misura delle mie visite. Cioè abbastanza contenuto da non costringere a torture culturali, ma abbastanza capiente da permettere la messa in luce di materiali sufficienti a farsi una buona idea dell'argomento. Nella fattispecie, ci sono opere di una bellezza mozzafiato, finora viste dai più solo sui libri di storia dell'arte, accompagnate da pannelli esplicativi dove si è trovata la giusta misura tra erudizione e divulgazione. Un gran bel lavoro, devo dire. L'aspetto inquietante è che costringe a ripensare radicalmente l'immaginario dell'antica Roma. I paesaggi degli affreschi ricordano incredibilmente l'affacciarsi del paesaggio moderno nel Rinascimento, quei panorami lontani, bucolico-fantastici che appaiono a un certo punto dietro a santi e arcangeli; l'abbigliamento non risponde allo stereotipo della toga o dell'uniforme e l'architettura si scopre policroma all'ennesima potenza. Altro che bianchi colonnati e templi! Ultima nota elogiativa per i ritratti del Fayyum, per i quali non ho parole se non che sembrano oggetti magici, di quelli che iniziano un'avventura. Potendo, è proprio una mostra che merita.
Una sposa romana

domenica 4 ottobre 2009

Gattocomunisti - Vauro
La maglietta era finita, anzi è proprio esaurita *lol* Da sociologo marcio, farabutto e gattocomunista trasformo questo fatto anodino in indicatore e vi leggo la sorpresa - una bella sorpresa! - del Manifesto alla risposta della famosa "ggente" al bisogno di manifestare, nel senso forte di dare a vedere, rivelare agli altri. E il fatto che ci si manifesti gattocomunisti mi sembra fantastico, il segno di una parte politica - che non chiamerei più sinistra, per quanto mi dolga, perché è un termine fuorviante e obsoleto - una parte politica, dicevo, che si emancipa dagli schemi suoi e altrui e riscopre la forza dell'ironia e del riso e, forse, auspicabilmente, apre gli occhi a nuovi ideali, nuove scale di valore. In piazza ieri, a quella splendida farsa, c'erano molti giovani, per fortuna. Uno persino un mio studente arrivato da Perugia. Ci siamo detti che ci sarebbero stati modi migliori di passare un sabato pomeriggio, ma anche che dal nostro punto di vista non c'erano alternative. E riconosco di essere un po' stanco, a dover scendere di nuovo in piazza come ai tempi del liceo, perché l'allarme continua e anzi peggiora, perché ciò che dovrebbe essere ormai scontato, presupposto della vita civile, è a rischio e pare che a molti non interessi... C'era un bellissimo striscione, con una frase di Gramsci che non posso non sottoscrivere:

Odio gli indifferenti!

sabato 8 agosto 2009

In Bruges - La coscienza dell'assassinoCome è ormai un classico, il primo post dopo l'estate compete a un film che non avrei probabilmente visto in altre occasioni e all'annuncio di foto anglo-gallo-irlandesi che dovrei pubblicare a momenti su Flickr. Sui momenti, com'è ormai un classico, c'è da discutere *lol* Su In Bruges probabilmente pure A quanto mi risulta è il primo film concepito come un lungo spot sull'omonima città belga dove - come afferma a un certo punto Ralph Fiennes - vanno troppo pochi turisti, trovandosi in un posto sfigato come il Belgio: meglio così. dopotutto, sennò la rovinerebbero... E in effetti i primi venti minuti potrebbero essere docufiction, anche un po' lenta. Poi però la trama comincia a svolgersi e l'atmosfera si fa surreale: dialoghi e situazioni degne del teatro dell'assurdo, fili che iniziano ad annodarsi per tessere infine un crescendo che culmina in una bella tragedia. E non sto facendo ironia. Alla fine torna tutto, persino il turista americano testardo e obeso. Colin Farrell sembra forse un po' troppo un cocker, ma quando serve lampeggia a dovere, come lo skinhead frocetto impara a sue spese; mentre Brendan Gleeson, con l'aria del killer per caso e controvoglia è notevole. Uno dei dialoghi della girandola conclusiva, sulla torre di Bruges, tra lui e Fiennes. è memorabile! Certo, se l'avessero fatto da Mad Eye Moody e Lord Voldemort in un qualche Harry Potter, sarebbe stato probabilmente inguardabile In questo caso, però, Martin McDonagh ha le idee piuttosto chiare e dirige una pellicola veramente inattesa. E consigliabile. Come, a occhio, l'auspicata gita a Bruges

Harold Pinter as Beckett's KrappGià che ho menzionato il teatro dell'assurdo, profitto per un commosso ricordo dei giorni irlandesi, quando al Players Theatre del Trinity College di Dublino ho beccato Krapp's Last Tape (qui accanto nell'interpretazione di Harold Pinter). A-D-O-R-O quel lavoro, il labirinto borgesiano che prende forma dalla voce disincarnata e irriconoscibile del vecchio che ascolta, collerico, mangiando banane... A che serve la memoria se la strappiamo dalle emozioni e la consegnamo in presa diretta a un nastro? E quando viviamo, se siamo così impegnati a registrare la nostra vita mentre scorre? Più che un doppio legame è un doppio abisso. E la rivelazione di un momento, anni dopo, fa solo rabbia... Una meraviglia, Beckett nei palazzi in cui ha studiato e poi insegnato. Con l'ameno clima che, più che di sky blue, fa parlare di Trinity blue, vista la mancanza di esperienza diretta del dublinese medio *lol* Come scrive una brillante autrice dell'isola verde, Marian Keyes, in un dialogo a Dublino: "Ma qui piove sempre???" "Cosa vuole che ne sappia, ho solo dodici anni!"

venerdì 26 giugno 2009

Andare a Parigi è sempre un'esperienza. Con la fortuna di una frequentazione non troppo episodica, poi, ci si riesce a muovere fuori dai frenetici ritmi turistici, andando per mostre, per vie, per luoghi meno abituali. E così, la settimana scorsa, oltre all'ormai tradizionale convegno solstiziale del CEAQ, mi sono fatto qualche regalino, comeVasily Kandinsky - Etages sempre anche con l'aiuto di un po' di zen. Si parte con una personale dedicata a Kandinsky a Beaubourg, visitabile fino al 10 agosto, per chi si trovasse a passare da quelle parti. Viaggio molto esauriente - forse persino troppo - nell'opera di un artista centrale del Novecento, nel quale si dà a vedere con chiarezza cristallina lo spartiacque tra astrazione e organicità, tra ricerca di simmetria ed essenzialità e tripudio di forme giocose e viventi. Per quanto possa sembrare strano, la mia preferenza va in questo caso alle ultime fasi, dal logo della mostra in poi. Vi ho trovato anche un omaggio di Feininger che costituirà la copertina di un mio romanzo, sempre che prima o poi lo finisca :) Poi, per restare nell'artistico, sono inciampato in un'altra cosa della quale non avevo proprio idea: Une image peut en cacher une autreuna mostra proprio strana, per la quale l'eventuale visitatore dovrà sbrigarsi, perché regge fino al 29 giugno. Une image peut en cacher une autre, ossia tutte le illusioni ottiche, i trucchi compositivi, le sciarade in immagine e chi più ne ha più ne metta create da secoli a questa parte con gli intenti più diversi. Cose pregevoli, inusuali e la presenza significativa dei lavori di tre autori chiave: Arcimboldo (con tre delle Quattro stagioni), Dalì (imperdibile l'intervista in video) e Raetz, con una stupefacente ultima sala di opere vertiginose. C'è stata anche la Biblioteca François Mitterand, la Festa della Musica con un eccellente concerto al Centre Culturel Italien e la presentazione del libro di un amico, ma per questo un altro post
Vasily Kandinsky - Le parc de Saint-Cloud

domenica 31 maggio 2009

Gigi Proietti
Fine settimana interamente affidato al caso. Ci sto decisamente prendendo gusto E' buffo in effetti andare al Sistina con i biglietti che arrivano da Todi tramite conoscenze universitarie, anche perché senza una partita di On Stage! mercoledì scorso non se ne sarebbe fatto niente e io di solito mi scordo di guardare il programma dei teatri. E dire che Gigi Proietti è fantastico! Questo spettacolo in particolare, Di nuovo buonasera, è un esperimento in nostalgia e cultura, uno spazio/tempo in cui si ride molto e si pensa parecchio e, soprattutto le generazioni meno giovani, si ricorda. L'eco der core, cantata allora da Gabriella Ferri, non la sentivo da più di trent'anni e dire che da piccolo i nastri di canzoni romanesche li distruggevo, a furia di ascoltarli... Mi sento un po' come Krapp, a volte, che scopre dei ricordi e quasi non capisce che sono i suoi. Il buon Gigi ha fatto un collage del variété, con atti unici di Eduardo, sketch, balletti recuperati filologicamente dagli anni della guerra d'Africa, canzoni e momenti da mattatore che ti fanno apprezzare quanto sia vasta e vissuta la sua cultura, quanto incarni il mestiere dell'attore, ormai insieme a pochi altri, temo. Non è che i giovani siano necessariamente meno bravi, è che il mondo da cui viene lui era diverso, più sofferto, più spesso, più artigianale. Non è un caso che la sua ex-scuola si chiamasse Laboratorio. E quanto je rode, come diciamo qui a Roma, che sia stata chiusa. E il Brancaccio, poi...Be Kind Rewind Vabbè, almeno noi lasciamo andare! Questo ieri. Oggi sono finito da amici che hanno appena rinnovato la sala video ed mi è capitato di vedere un film di cui altrimenti non avrei neanche saputo che esisteva: Be Kind Rewind, di Michel Gondry, regista col quale - qui su Aforismatica ci siamo già incontrati. Di nuovo mi chiedo chi sia il pusher dello sceneggiatore Un genio, immagino. Il film va visto, anche se la trama è accennabile: Jack Black, sempre più simile al mitico John Belushi, si carica magneticamente e cancella tutte le videocassette del noleggio di un amico. Non resta che rigirare tutti i film in casa, con mezzi scarsissimi e molta, molta creatività. Esempi di questa improbabile scuola di regia si trovano sul sito del film, ma giuro, vale la pena di vedere dove un regista/scrittore poco disposto a venire a patti col mercato è capace di arrivare. Manco a dirlo, un'altra splendida variazione sul tema dell'uomo artigiano, che ultimamente affiora un po' dappertutto. Sarà il re nascosto del XXI secolo?

domenica 10 maggio 2009

Hiroshige - La pianura di Suzaki
Non uso spesso l'aggettivo "imperdibile", quindi una volta che lo scelgo dev'essere preso nella piena forza del termine. La mostra dedicata a Utagawa Hiroshige, maestro dello stile Ukiyo-e, le "immagini del mondo fluttuante", resterà al museo Fondazione Roma al Corso fino al 7 giugno ed è letteralmente imperdibile. Volendo, potrei sprecarmi in aggettivi, preferisco però lasciar parlare le immagini, per quanto non restituiscano - a mio parere e con buona pace dei fan del digitale - l'effetto particolare delle stampe realizzate a mano su carta di gelso. Siamo propriamente nel regno dell'ineffabile, del silenzio zen. Preferisco parlare più estesamente della mostra, perché tra i tanti musei che conosco ormai bene, questo del Corso riesce ogni volta a darmi un'impressione di novità e cura che merita di essere sottolineata. Anche se ogni tantoHiroshige - Rose sotto la neve e anatra l'illuminazione non è al meglio, l'attenzione riposta nel creare un'atmosfera particolare che sposi il soggetto delle esposizioni è lodevole ed efficace. Stavolta (per quella precedente clicca qui) abbiamo una riproduzione piacevole di un giardino giapponese all'ingresso, arredi e decorazioni in stile e poi stendardi, un piccolo laboratorio di calligrafia e perfino le hostess in kimono. Per non parlare dei timbri da raccogliere lungo il percorso, usanza dei pellegrini shintoisti giapponesi e di quelli jacobei nostrani Aggiungo un interessantissimo audiovisivo sulla realizzazione delle silografie che ha suscitato la mia più profonda invidia per la maestria dell'uomo artigiano. Tralasciando la formidabile influenza del maestro sulla pittura occidentale (tra gli altri Monet, Gauguin, Van Gogh, del quale sono in mostra due belle riproduzioni in altissima definizione delle Mostre impossibili della RAI), quello che più si accosta ai miei pensieri attuali è l'armonia e la spiritualità che emana dalle sue opere. Shintoista, Hiroshige incarna il versante del meraviglioso e del sacro che il New Age tenta invano di restituire. Lo stupore ammirato, l'empatia e il rispetto per i suoi soggetti (nonché l'abilità naturalistica nel restituirne pose e colori) sono molto più netti e incisivi di quanto non sappiano dire parole di rito, tanto lise ormai da sembrare ridicole. Ogni stampa, bozzetto, appunto è un'epifania, che mostra senza ausilio razionale quanto il "semplice" fatto del vivere debba esser riscoperto nella sua pienezza e nell'incanto che sempre lo accompagna. Se sapessimo recuperare anche una frazione di un tale spirito, l'allarme ambientale non potrebbe che scomparire... Assolutamente imperdibile.
Hiroshige - Luna d'autunno