domenica 25 aprile 2010

Il grande capoSaturazione è probabilmente la parola chiave per descrivere quest'ultimo periodo di consumo culturale. Dopo anni e anni di ritmi molto elevati e investimento tradizionale, i serial da una parte, i videogame dall'altra mi hanno lasciato poco spazio per il cinema classico. Riconosco anche che la soglia dell'attenzione si è modificata, che il taglio 45 minuti si presta meglio a gestire più cose; lo riconosco e non è che ne sia entusiasta, ma tant'è, per ora è così. Però ciò non toglie che ogni tanto, a sorpresa, qualcosa filtra in questo nuovo essere blasé verso il grande schermo e ne sono felice! Il grande capo ne è un buon esempio: è contro ogni prevedibilità, visto che Lars von Trier non è tra i miei registi preferiti e che se avessi dovuto decidere di mio non l'avrei probabilmente selezionato; ma, come dice Zoro, quella sera c'avevamo solo questo e quindi *lol* e non è male per niente: echi di cinema d'autore, trama tirata su un'idea eccellente e in ultima analisi un ritratto dei danesi non particolarmente benevolo, ma le dinamiche ritratte sono sottili e danno parecchio da riflettere. E' un po', tanto per fare il sociologo, la questione di Sennett del potere senza volto, dell'incapacità di far fronte alle conseguenze di ciò che peraltro si persegue senza esitazioni. Ci si ritrova, sotto altra veste, uno dei temi di Tra le nuvole, altra recente acquisizione, l'outsourcing - oppure offshoring, come il capo impara in fretta - delle parti difficili da vivere, quelle scomode, che si preferirebbe evitare. Ebbene, il gioco è fatto: il grande capo è altrove, la colpa è la sua, io sono solo un esecutore, siamo nella stessa barca... von Trier dice che è solo una commedia, io non sono tanto convinto

Nessun commento:

Posta un commento