domenica 29 dicembre 2013

Soul Asylum - The Silver Lining

Pare che mi servano dei propositi di fine d'anno a misura e la cosa non mi stupisce. Come sempre, il mio genio personale mi ha fatto un regalo - e profitto dell'occasione per ringraziarlo e perdonarlo per un sense of humour a volte irritante - che senza volere ci sta tutto e risveglia passioni e stimoli che da un po' languivano. Così, nell'attesa di riuscire a rimettere in piedi un impianto stereo degno di questo nome e della mia collezione dormiente di LP, ho deciso di inaugurare una nuova rubrica, della quale non garantisco in alcun modo la continuità, ma la qualità sì :) Rubrica che avrà a che fare con dischi che potrebbero essere vinili, nel senso che probabilmente non ne avrò la versione lucida e profumata di cui parlava di recente un amico, ma che meriterebbero quella dimensione e quel trattamento.

Avendo passato la mezza via simbolica (non credo che avrei abbastanza pazienza per altri cinquant'anni, comunque :) posso indulgere in qualche ricordo e compiangere quelli che non sanno di cosa parlo. E' vero che la memoria tende a riproporre il passato in una luce dorata, ma è anche vero che spesso le vecchie cose erano molto meglio delle attuali, alla faccia del mito del Progresso. Il vinile e la musica come la si viveva ai suoi tempi sono senza dubbio tra queste. Perché non era solo questione di musica, ma di un'esperienza immaginale e sinestesica dove l'oggetto e i suoi corollari giocavano un ruolo centrale.
Quante volte abbiamo acquistato un disco per la copertina, senza avere idea di chi ne fossero gli autori, quante cure per assicurarsi un ascolto perfetto, tra tamponi antipolvere, spazzolini per la puntina e spray antistatici :D E poi il gusto dell'ascolto intero, della ricostruzione del percorso compositivo, la memoria maniacale dell'ordine dei pezzi, della suddivisione in facciate...

Non ne resta molto, oggi. Tanto che della gran parte della musica che ascolto non so che copertina abbia e faccio molta fatica a ricordare i titoli. Certo, sono assai più vecchio di allora, ma non credo sia solo questo. E' anche che l'esperienza della musica si è fatta scialba e superficiale e che di rado la qualità è tale da far ricordare canzoni e relativi autori. Anche qui le motivazioni industriali sono riuscite in gran parte a distruggere ogni altra spinta e preoccupazione, a distruggere - paradossalmente - ciò che dovrebbero produrre, nell'ennesima dialettica dell'Illuminismo. Qualcuno però, a volte, riesce a mantenere la barra verso un felice equilibrio delle aspirazioni. Non sono tanti e l'elenco è tutt'altro che esaustivo - c'è anche troppa roba da sentire, l'ipertrofia della cultura oggettiva qui è manifesta e soffocante - però la rubrica la dedico a loro, con la stampa virtuale dei miei nuovi LP.

Il primo è The Silver Lining, dei Soul Asylum. Scoperta recente, rock del taglio che preferisco, con quella qualità anthemic che IMHO è tratto irrinunciabile e qualificante. Quella che ti spinge ad alzare le braccia al cielo e a cantare, in uno stato di esaltazione gioiosa ed energica. Non saranno terribilmente originali - sento echi di Boston, UFO, REO Speedwagon e altri - ma hanno una chiara riconoscibilità e una lunga storia alle spalle. The Silver Lining, poi, è proprio quello che ci voleva per chiudere l'anno horribilis 2013 e cominciare di nuovo con uno straccio di sorriso. Viene da un'espressione idiomatica inglese che ricorda che ogni catastrofe, a cercar bene, ha un lato positivo: quest'anno c'è molto da cercare, ma l'essenziale è non perdersi d'animo e pezzi come Lately, Stand Up And Be Strong e All Is Well aiutano. Un po' come il faro in copertina, all'interno del quale, con un mezzo sorriso, si può dire "All in all, all is well"!

La promessa dell'assassino - Lo Hobbit 2

Bel film dove David Cronenberg si cimenta con una problematica spinosa, coi toni di un noir anni Settanta, in stile Fassbinder. La promessa dell'assassino va a scandagliare uno dei buchi neri della nostra cultura, il mantra dell'individualismo egoista per cui è meglio non immischiarsi negli affari degli altri per non correre rischi. Il che - se da un lato è empiricamente dimostrato: facendo qualcosa si rischia di più che non restando fermi - non tiene in alcun conto la dimensione interiore soggettiva, quella per la quale a volte semplicemente non puoi far finta di niente e girarti dall'altra parte. Nello specifico la sorte non è soltanto infingarda e strafottente e in una serie di colpi di scena smentisce l'assunto iniziale, che non a caso era oggetto di critica. L'ecologia dell'azione moriniana, vestita dei panni di Naomi Watts e Viggo Mortensen - sul quale stavolta non ho nulla da eccepire :) - acquista in ritmo e potenza e resta comunque un enigma affascinante.

Dice mia moglie che non capisce perché Peter Jackson abbia dovuto allungare e complicare tanto la storia... Per una volta non credo sia solo una questione economica, anche se la lettura immediata, nel clima di derivazioni economicistiche imperante, non può che andare in quella direzione. Credo piuttosto sia una questione di dipendenza :) Tre puntate da quasi tre ore l'una consentono ai drogati - tra i quali mi iscrivo senza batter ciglio - di assumere una dose accettabile di Terra di Mezzo e riprendere la strada là dove la si era lasciata qualche tempo prima. E l'operazione è ben fatta, anche se immagino che i puristi si straniranno per presenze impreviste e arricchimenti di trama. Il casting della comitiva nanesca è perfetto e, a dirla tutta, Martin Freeman come Bilbo mi piace molto di più di Elijah Wood come Frodo. E, a parte questo e per uscire dall'apologia, credo che stavolta emerga con forza l'ennesima intuizione di Tolkien, che rende la sua produzione la chiave di volta del Novecento narrativo: la forza delle piccole cose, la polemica con l'assioma quantitativo per cui qualcosa conta solo se è grande, sempre più grande, assurdamente grande. Gli eroi qui non sono anti-eroi, sono semplicemente non convenzionali e con questo stratagemma dimostrano quanto la convenzione sia priva di fondamento e potenzialmente devastante, Boromir docet. Cosa che vale in Arda e sulla Terra.

domenica 22 dicembre 2013

Molto forte incredibilmente vicino - Argo

Non posso dire di adorare la narrativa statunitense contemporanea, almeno per quanto riguarda i cosiddetti "mostri sacri". Mi sembrano peccare dello stesso difetto che affligge buona parte degli omologhi italiani, il gusto esagerato per la propria scrittura, a scapito della narrazione e della leggibilità. Safran Foer non fa eccezione e Molto forte incredibilmente vicino segue, sebbene i linguaggi siano diversi. Non che sia un brutto film, ma qualcosa nel ritmo, nell'enfasi stride, costringendoti a riconsiderare il retrogusto. Sarà forse che la bella strategia educativa di Tom Hanks è inestricabilmente connessa alla particolarità del figlio e quindi atipica, emergenziale, laddove potrebbe rappresentare una nuova frontiera per ridisegnare la normalità; sarà l'atmosfera sul filo della patologia e il tratto estremo con cui sono tratteggiati i personaggi che non sfonda il quotidiano, ma semmai lo rafforza a contrario attraverso l'incommensurabilità... Insomma, un film da vedere che a mio parere avrebbe potuto andare molto al di là del risultato effettivo.

In Argo, invece, l'equilibrio è notevole: dove la sfida della storia vera avrebbe potuto portare a un appiattimento ha invece condotto a una ricerca visuale e iconografica di altissimo livello, a personaggi solidi e a una narrazione coinvolgente, da action movie. Chapeau a Ben Affleck, nel doppio ruolo di regista e protagonista, che tesse l'omaggio all'impresa col confronto impietoso con la burocrazia e la paralisi immaginale degli apparati, dimostrando che un adeguato cocktail tra homo sapiens e homo demens è in grado di farsi azione con maggiore efficacia di quanto la retorica corrente, costruita su statistiche e procedure, possa mai aspirare a ottenere. Certo, ci vuole il coraggio dell'esempio e un senso di responsabilità che spesso latita, ma da questa storia incredibile si può uscire tutto sommato rafforzati e un tantino più ottimisti.