lunedì 9 luglio 2007

La descrizione di questo blog fa riferimento ai pensieri persi e ai pochi che si salvano. Stasera voglio salvare qualcosa di quello che ho pensato quando la bella sposa di ieri a Ravello mi ha chiesto di fare il discorso del brindisi E la prima cosa che mi è venuta in mente è che se qualcuno mi avesse detto, quando ho conosciuto lo sposo, trent'anni fa, che mi sarei trovato a fare un discorso del brindisi in occasione del suo matrimonio probabilmente gli sarei scoppiato a ridere in faccia. Perché a quindici, venti, perfino trent'anni tendi a pensare che tu certe cose non le farai mai, che certe convenzioni non ti avranno mai, che è una consuetudine assurda... Meno che mai avrei pensato di parlare da marito con undici anni alle spalle: non proprio una passeggiata, ma ne valeva la pena, con alti e bassi per carità, ma dovrebbe essere diverso? E la cosa sulla quale richiamare l'attenzione dei convitati, senza sdraiarli con dotte osservazioni su Simmel (che peraltro potrei aggiungere a momenti, vediamo ) mi è apparsa chiara ed è lo stolto obbligo alla felicità che spesso ci avvelena la vita e ci impedisce di riconoscere quei momenti che veramente lo sono e da soli bastano a riscattare tutto il resto. Un resto costantemente in agguato. La nostra cultura ha fatto tante generalizzazioni: una delle più nocive è la trasformazione del Carpe diem in una prassi quotidiana. L'idea che ogni momento debba risplendere di luce propria, che ogni momento non al massimo sia tempo sprecato o peggio un'occasione perduta è il più efficace generatore di disillusione e disperazione che mi venga in mente. Laddove l'attimo di cui parlavano gli antichi era proprio quel raro istante perfetto che, per contrasto, illuminava la vita intera della sua luce e permetteva di sopportarla, con gioia perfino. Era l'infrazione del sacro, l'epifania del mistero, la chiave dell'incanto. Che abbiamo in larga misura smarrito. Mi sembrava perciò il caso di richiamare l'attenzione, anche degli sposi, su quell'attimo fuggente che per loro sarebbe stato unico e irripetibile, il paradosso della vera originalità nella ripetizione. Il fatto, come Simmel aveva intuito, che ogni cosa, per il semplice fatto che accade a noi, in un preciso momento della nostra vita e in una precisa configurazione del nostro essere è unica. Non importa quanti altri l'abbiano già fatta, come e per quale ragione. Il vero crimine è cercare di essere come altri, come il VIP di turno o quelli che si invidiano o che si immagina stiano meglio di noi. La cosa più difficile è (ri)scoprire la felicità accanto a qualcuno dopo anni o in qualcosa che tutti hanno già fatto, ma che ripetiamo per libera scelta, con un'adesione e al contempo una leggerezza che la rigenerano e la rendono allo splendore pristino.
Sono stato molto meno palloso, al brindisi, e non ho neanche letto la poesia che mi ero portato, ma che trascrivo qui, di uno dei più grandi poeti che abbia avuto il piacere di leggere e che, devo dire, a tratti invidio: Pablo Neruda. Si chiama Ode al giorno felice.



Questa volta lasciate che sia felice,
non è successo nulla a nessuno,
non sono da nessuna parte,
succede solo che sono felice
fino all’ultimo profondo angolino del cuore.


Camminando, dormendo o scrivendo,
che posso farci, sono felice.
Sono più sterminato dell’erba nelle praterie,
sento la pelle come un albero raggrinzito,
e l’acqua sotto, gli uccelli in cima,
il mare come un anello intorno alla mia vita,
fatta di pane e pietra la terra
l’aria canta come una chitarra.


Tu al mio fianco sulla sabbia, sei sabbia,
tu canti e sei canto.
Il mondo è oggi la mia anima
canto e sabbia, il mondo oggi è la tua bocca,
lasciatemi sulla tua bocca e sulla sabbia
essere felice,
essere felice perché sì,
perché respiro e perché respiri,
essere felice perché tocco il tuo ginocchio
ed è come se toccassi la pelle azzurra del cielo
e la sua freschezza.
Oggi lasciate che sia felice, io e basta,
con o senza tutti, essere felice con l’erba
e la sabbia essere felice con l’aria e la terra,
essere felice con te, con la tua bocca,
essere felice.


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