domenica 1 giugno 2008

SanguepazzoSono sempre più convinto che Marco Tullio Giordana sia uno dei migliori registi italiani di questi anni. Uno di quelli che ti danno la sensazione positiva della grande scuola italiana senza gli stereotipi e la maniera che invece impazzano in molte altre pellicole. Con Sanguepazzo torna all'ambientazione storica, alla ricognizione romanzata del passato di cui La meglio gioventù è ormai canone, dando nuovamente prova di originalità e soprattutto di coraggio. Il film ricostruisce la vita di due star del cinema fascista, Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, dagli esordi di questa fino all'esecuzione di entrambi per mano partigiana a Milano nel 1945. Una storia a tinte forti, dove Luca Zingaretti - di nuovo! - dà prova di una notevolissima gamma di capacità e chiavi espressive, liberandosi radicalmente dalla sindrome Montalbano. Perfino Monica Bellucci, nelle mani di Giordana, si avvicina quanto mai prima a essere un'attrice, per non parlare di Alessio Boni, feticcio del regista, che migliora di volta in volta le sue interpretazioni. L'eccesso che ha caratterizzato le vite dei due attori viene restituito con un realismo a volte violento, a volte indulgente, nel complesso molto equilibrato, com'è lo stile di Giordana. Ho però una perplessità, più che altro sull'epilogo e sulla per molti versi lodevole applicazione di intellettuali di sinistra alla "resa dei conti" con gli anni della Resistenza e della guerra civile strisciante del primo dopoguerra - penso in particolare a Pansa e al furor col quale si cimenta da anni con gli scheletri negli armadi della sinistra. Devo ammettere in primis di non riuscire a stupirmi di dinamiche oggi condannabili, ma allora - temo - perfettamente comprensibili e, soprattutto, di non riuscire a vedere in cosa questo modifichi il giudizio storico sulla Resistenza: non erano santi, e allora? Le questioni micro inficiano la dimensione macro dell'evento, la sua qualità fondante di una vita democratica nascente? Sono questi, credo, i punti su cui concentrarsi... Noto, di passaggio, che l'affievolirsi dell'aura resistenziale coincide con uno dei momenti più tristi e desolanti della storia patria, che la melassa indistinta che ci porta ad avere neofascisti ovunque nelle istituzioni cola anche da nobili tentativi troppo facilmente riducibili a una variazione colta del "sono tutti uguali",Alessio Boni e Luca Zingaretti in Sanguepazzo "Resistenza o Salò non c'è differenza" e via discorrendo. Come la radiosa idea che il 25 aprile sia la liberazione da tutti i totalitarismi. Di fatto è stata la liberazione dal nazismo e dai suoi sicofanti fascisti, con buona pace di Fini e Alemanno. I grandi discorsi privi di ogni fondamento logico suila hit parade dei milioni di morti, le purghe di Stalin o i kampi di Hitler, vanno bene per chi con Hitler ha avuto troppo a che fare o per gli "automi privi di memoria e di volontà propria" di cui è in larga parte composta la società italiana odierna (Serra dixit): la condanna di entrambi, per motivi diversi, non equivale all'assoluzione. Questo per dire che essere i soli a lavare i panni sporchi rischia di essere teoricamente auspicabile e praticamente catastrofico. Implicherebbe l'esistenza di una controparte lealmente impegnata a far lo stesso, della quale purtroppo non vedo ancora alcun segno all'orizzonte... Ciò non toglie che ognuno percorre la sua strada e segue il suo demone: a me Sanguepazzo è piaciuto molto, anche se il pensiero delle letture che se ne potranno dare un po' mi inquieta.

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