domenica 12 maggio 2013

Anonymous - Ironman III

Come diceva Colli, c'è un tempo per vivere e un tempo per scrivere. Siccome, tra l'altro, scrivere non è facile, non è rilassante, non è la cosa più naturale del mondo come sembrano ritenere in molti, a volte ci si occupa a vivere tralasciando la seconda attività. E ci si trova con qualche film di ritardo :) Niente di che, ma il sempiterno senso del dovere (persino verso un blog sigh) spinge a rimettersi in paro. E' comunque vero che un po' di tempo è utile per trovare le tracce giuste da seguire, più che utile necessario oserei dire, e che così si scorgono prospettive non proprio immediate. Anonymous, ad esempio, è un film molto godibile, ma lasciato decantare offre spunti stimolanti. Da una parte un affondo vellutato alle pretese di esaustività che il nostro sapere accampa senza sosta, ormai quasi soltanto in forma di wishful thinking per il futuro, ma che comunque continuano a nutrire aspettative difficili da gestire al momento della smentita: ancora oggi, dopo tanto tempo, non sappiamo chi fosse Shakespeare, una delle voci più pure e meravigliose della letteratura mondiale. Ancora oggi, quando ne facciamo il nome, ci riferiamo a non si sa chi, eppure lo sanno in pochi e in meno ci fanno caso. Come accade, disgraziatamente, con la gran parte delle parole che di solito si adoperano. Illusi, boriosi e ignoranti, molto spesso... Ottime basi su cui costruire le nostre certezze. Perché meravigliarsi se poi si sgretolano? Su un versante più squisitamente sociologico - come dicono quelli che se ne intendono :) - è interessante invece considerare come vari la stima sociale verso certe attività, come i diversi status richiedano, in epoche e culture diverse, sacrifici, esclusioni e compromessi, attagliandosi alla meno peggio alla gran parte dei loro occupanti. E' quando capita ciò che il film adombra che i nodi vengono al pettine e il rapporto tensivo tra sociale e oltre dal sociale (ah, Simmel :D) si rivela inadatto, inutilmente riduttivo. E' quando il demone si presenta nel suo splendore che ogni discorso di medietà, adattamento e convenzione perde di senso. Bisognerebbe rifletterci con più attenzione e meno pigrizia mentale, se vivessimo in una cultura che si interessa ancora del benessere dei suoi membri. Ed è comunque buffo e doloroso pensare - se la tesi del film è vera - al presente, in cui scrivono cani e porci, e al tempo del Bardo, quando per riuscire a dar voce all'arte ci si doveva nascondere dietro lestofanti e mascherate, mettendo a rischio vita e ricchezze. Chissà se c'è una qualche relazione tra il costo di ciò che si scrive e la sua qualità...





Altro giro, altri regali. Terzo episodio della saga di Ironman, uno degli eroi più immaginalmente interessanti del periodo, dove il buon Tony Stark - il perfetto Robert Downey Jr - sconta le conseguenze dell'ultima avventura degli Avengers, accennando per una volta ai costi del confronto con l'inconcepibile, tema centrale per esempio in Lovecraft. Effetti speciali da centinaia di specialisti, ritmo a dir poco serrato, parecchia (auto)ironia e un buon modo per fare i conti col tema/problema della tecnologia e di quello che può derivarne. Di fatto Ironman è questo, il contraddittoriale attraverso cui la nostra cultura cerca di capirsi un po' meglio, di immaginare quali esiti potrebbero presentarsi alla corsa spesso insensata verso un progresso senza se e senza ma. Epperò non è questo che mi intriga ora: è piuttosto l'ennesimo segno del tempo, nascosto nell'iterazione. Si dice da più parti che i sequel non sono altro che il mezzo scelto da Hollywood per far soldi senza grossi rischi, alla faccia della mitologia dell'imprenditore e del suo agire d'azzardo. Sarà anche vero, per carità, ma secondo me c'è di più. C'è una forma di inganno che ci consente di evitare lo stigma sulla routine venuto con la modernità, l'orrore della ripetizione che invece ha sempre giocato un ruolo centrale nelle storie umane. Prima le avventure degli eroi erano quelle, emblematiche, iscritte in un tempo/non tempo, il tempo sacro dell'altrove. E narrarle portava lì, astraeva dalla realtà quotidiana e rinsaldava la circolarità della vita, una delle migliori strategie contro l'angoscia del tempo che scorre. Oggi nessuno vorrebbe riascoltare consapevolmente la stessa storia, ma tutti ne hanno bisogno e le nuove puntate salvano come sempre capra e cavoli: sembrano nuove, ma sono lo stesso racconto. E' qui il fascino del serial, un'altra derivazione paretiana che ci permette di aggirare uno dei tanti divieti che ci siamo imposti senza pensare, sull'onda di un altro fascino e di un'altra illusione.

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