venerdì 3 febbraio 2012

Ti si chiariscono un sacco di cose. Soprattutto però quello che colpisce è l'ironia, in larga misura involontaria. Che un social network venga fondato e portato a successo planetario da un totale incompetente emotivo. Assenza di empatia, rancore più o meno consapevole, deserto di legami amicali: il fondatore di Facebook sembra uno degli uomini vuoti di Eliot, anche se non credo che il poeta pensasse di star tracciando l'identikit del modello di successo del primo XXI secolo... Si chiariscono cose, dicevo. L'uso poco ortodosso del termine "amicizia" nel network in questione, ad esempio, anche se forse sarebbe meglio parlare di amicizia 2.0, della nuova versione riveduta e corretta che - per carità! - non è colpa di Facebook, ma lì raggiunge chiarezza e riconoscibilità, come l'ossessione spirituale dell'Occidente si dà a vedere in Cartesio. A parte tutto, però, quello che lascia di stucco, in questa storia, è che non è win/win, come spesso si dice oggi che l'ottimismo è di prammatica, e neanche win/lose. È semplicemente lose/lose. Il vincitore è solo, lontano anni luce dalla felicità e leggerezza che i suoi soldi dovrebbero garantirgli, almeno nella vulgata corrente così dura a morire; gli esponenti dei vecchi modi d'essere - le varianti culturali direi, fondate sull'onore e sull'etica dell'amicizia - pur potendosi pensare vincenti trasmettono un desolante senso di inanità, di inadeguatezza. Piccoli uomini per tragedie cosmiche, avrei messo come sottotitolo.

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