giovedì 9 febbraio 2012

Ero partito per andare a vedere ACAB, giuro! Poi spulciando film e orari ho visto che ero ancora in tempo per The Artist, di cui avevo sentito recensioni amicali da urlo, e così... E direi proprio che non sono pentito, neanche un po' :) Al di là della godibilità assoluta del tutto - il protagonista, Jean Dujardin, è fa-vo-lo-so! E il suo cane non è da meno - è un film a spirale, ergo non potevo non adorarlo. E poi, per motivi estetici, non poteva non esser visto al cinema. Già dalla prima scena il labirinto, la vertigine sono lì: tu al cinema guardi una platea che guarda un film, muto, con tanto di orchestra dal vivo (nel film, ovviamente :); la ripresa si sposta e sei dietro lo schermo insieme all'attore principale che aspetta la fine della pellicola per una sortie trionfale e intanto se la gode. La prospettiva geniale fa sì che lui sembri essere nel film che osserva, creando un trompe-l'oeil che dà la cifra dell'intera opera. Il suo problema, di George Valentin cioè il protagonista, è che è un attore del cinema muto, all'apogeo al momento dell'avvento del sonoro. E qui di nuovo un tocco di maestria assoluto: Valentin ha un incubo in sonoro, dove lui è l'unico a essere muto, mentre tutto fa rumore. E vi giuro che l'effetto, in una sala mimeticamente silenziosa, è incredibile, capace di far riflettere parecchio su un sacco di convenzioni con cui siamo cresciuti - quelle stesse che hanno portato dei poveri spettatori innocenti a chiedere il rimborso quando hanno scoperto che The Artist era muto sigh

Quisquilie a parte, c'è da riflettere sull'idea di progresso e le prassi che ne derivano. Dal 1927 al 1929 c'è - si diceva - l'avvento del sonoro e gli attori del muto scompaiono, superati dall'innovazione. Ora, gli stilemi, le modalità del muto sono tutt'altra cosa, un'altra forma espressiva: il problema, in un approccio perennemente aut/aut, è che il loro essere precedenti li condanna alla dismissione e all'oblio; la convivenza non è pensabile neanche in termini di linguaggi diversi all'interno dello stesso medium... Anche se, decenni dopo, la dimostrazione - a parte i poveretti di cui sopra - dell'errore di questo approccio è proprio il film che riscatta quelle forme e quei limiti in quasi due ore di puro entertainment, di classe, di ricerca, di amore per l'arte cinematografica, di commozione. Oltre a quest'altro caleidoscopio, c'è dell'altro sociologico interessante. Valentin è l'artefice inconsapevole del trionfo di una nuova star, interpretata da Bérénice Bejo, che poi - nell'ennesima spirale - sarà la sua salvatrice. Le schiude la carriera con un tocco quasi impercettibile, una matita da trucco con cui aggiunge al suo bel viso un neo. Imperfezione zen, ma soprattutto azione minima dagli esiti immensi ed imprevedibili, dipendenza sensibile dai dati iniziali. Una bella forma di karma per uno che, nella disgrazia, non è mai rancoroso, ma riesce a sorridere quasi fino all'ultimo. Un gran bel personaggio, un gran bel film. Chapeau a Michel Hazanavicius.

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