sabato 10 marzo 2012

A volte resto interdetto. È un po' che evito film che parlino della più o meno attualità italiana, non dico quindici anni, ma quasi. Perché puoi essere saggio quanto vuoi, ma certe cose scuotono i nervi. Poi, dopo qualche tempo, ti dici "vabbè, forse va meglio, forse ce la faccio!" ed ecco che speri di farti anche quattro risate... Non che non ci sia da ridere, ma credo che Albanese lo sapesse benissimo che è un riso amaro, un riso che nasconde la paura. Paura che dietro la farsa, dietro la caricatura si nasconda un vizio inguaribile, un cocktail di abitudini - direi perfino modelli di comportamento, perché no? - impossibile da sconfiggere. Che alla faccia dell'epica e della mitologia i buoni alla fine perdano. Perciò non so se il malessere deriva dall'esagerazione o dalla vicinanza alla realtà, dall'incredulità o dall'ennesima constatazione che ci siamo sempre vicini, sempre a un passo.

Detto questo, una notazione corsara: perché nell'immaginario diffuso - e spesso nella prassi - i buoni sono noiosi? Perché è passato il messaggio che la correttezza debba essere grigia, priva di vita? Non solo in politica, ma anche a scuola, all'università il senso comune vuole che certe cose siano un fastidio, un sacrificio, una sofferenza. E giuro che non lo capisco. Studiare può essere divertente, appassionante, dovrebbe esserlo! Proprio come essere nel giusto non dovrebbe allontanare dal riso, dall'ironia, dalla capacità di discutere e di misurarsi anche con chi fa dello slogan e dell'annuncio l'unica arma. In fin dei conti è anche qui un problema di intelligenza emotiva: la ragione da sola annoia e l'arguzia da sola spesso inganna. Dovremmo mirare alla famosa via di mezzo, i cinquanta giorni da orsacchiotto. All'uomo mediano :)

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