giovedì 22 giugno 2006

Quando sei nato non puoi più nascondertiUna di quelle esperienze che lasciano il segno. Al rientro dall'ennesimo convegno - stavolta a Parigi, mi sento sempre più "Il professore va al congresso" - viaggio del quale darò conto in post successivi, viste le belle foto fatte al museo Rodin, senza un attimo di tregua mi sono beccato questa recente fatica di Marco Tullio Giordana che, forse anche per la stanchezza della giornata, mi ha piuttosto colpito, tanto che ho deciso di usarla per l'avvio del corso di Foligno l'anno prossimo. Ho visto di sfuggita che la critica non ne è rimasta convinta. Prescindendo dal fatto che il mestiere di critico mi ha sempre colpito per la sua vocazione parassitaria, può anche darsi che cinematograficamente la pellicola abbia dei problemi. Alcuni li ho riscontrati anch'io, soprattutto nella parte dedicata al centro d'accoglienza, un po' troppo villaggio vacanze e volemose bbene per essere vero e forse anche nella fortuna sfacciata del bimbo che è all'origine della trama. Essendo però stato baciato da una fortuna simile (sebbene molto, molto in minore :o) di recente, sono più che disposto a transigere su queste eventuali ingenuità e a concedermi viceversa un caloroso chapeau per il coraggio e il protratto impegno civile/civico del regista e dei suoi attori prediletti (abbiamo di nuovo Alessio Boni, appena meno isterico del solito ). Il tema è irto, l'idea intelligente e alcune scene, come il riconoscimento al centro di cui sopra, sono di rara potenza. Disvelano abissi in noi dei quali sarebbe tempo di prendere atto, inadeguatezze vili che addobbiamo di derivazioni più o meno sostanziose, ma che restano lì in agguato e che riconosciamo nei momenti di imbarazzo. Quando il padre riconoscente non sa far di meglio che offrire denaro e un cellulare ed esita ad accogliere in seno alla sua famiglia coloro che gli hanno restituito il figlio. Quando lo stupore per lo scenario del centro non può liquidarsi solo come ipocrita, ma è piuttosto la realtà che irrompe senza freni (con tutto che l'ambiente è abbondantemente edulcorato) in una vita chiusa in rappresentazioni securizzanti ed è come sempre difficile dare la colpa a qualcuno, difficile dire "saprei fare di meglio"... La scelta del bambino come sguardo sul mondo e il gioco di sguardi che l'esperienza sulla carretta del mare induce in lui sono notevoli, come l'espressione del prete alla richiesta innocente di pregare, un'espressione che dice interi discorsi in un istante. E il bambino come realtà scomoda aggiunge la freschezza e la vicinanza dei suoi occhi all'"oggettività" di un contesto all'esperienza diretta. E' sempre un bimbo che scopre che il re è nudo e svela le ragnatele dell'astrazione e dell'autoillusione in cui gli adulti eccellono e si avviluppano senza sosta - lasciando in pace, magari, il bambino pascoliano che è in noi, che mi ha leggermente scassato
Ti amo in tutte le lingue del mondoAh già, prima di partire, quindi giovedì scorso, avevo visto anche il buon Pieraccioni replicare la solita trama, anche se con brio rinnovato e trovate decisamente divertenti. Al contrario di quello sopra, è proprio un film che consente di mettere il cervello in folle per un paio d'ore, guardare il povero Cristo impacciato e dire "Io farei molto, molto meglio", possibilmente sorridendo di traverso e guardandosi intorno per cercare eventuali testimoni a supporto. Notevole Panariello, forse perché irriconoscibile.

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