lunedì 12 febbraio 2007

Black BookMa tu te lo saresti aspettato un film così dal regista di Basic Instinct e Robocop? Già questa domanda spinge verso il tema centrale di Black Book, ovvero quando la pianteremo di fare di ogni erba un fascio? Quando un film così sarà ovvio e non provocatorio? Le intimazioni notturne di riequilibrio di questa cultura si fanno ogni giorno più esplicite e sempre la snervante inerzia degli intellettuali e della "gente" tenta di ridurle, reintegrarle, ma che DICO, soffocarle. E allora tanto di cappello a Paul Verhoeven, che affronta uno dei temi-feticcio del nostro tempo con tutto, e dico tutto, l'armamentario di una lunga carriera, intrecciando all'erotismo di una splendida Carice van Houten tensione, morale e d'azione, tradimento, sfortuna - tanta, al limite dell'incredibile - e la violenza della guerra, tirandone fuori un cocktail avvincente e capace di far riflettere. E la riflessione porta sempre un po' fuori dall'immediato, in questo caso a una serie di libri che Giampaolo Pansa sta pubblicando in una chiave molto simile a quella di Black Book, sugli orrori rossi della Resistenza post-1945. Al di là del fatto che mi sembra ci si stia dilungando un po' troppo, quello che mi ha sempre lasciato perplesso dell'intera questione - e che non ha a che fare con Pansa - è il fatto che segnali uno scollamento tra narrazione e verosimiglianza che ha dell'incredibile e che indica a sua volta un passaggio ulteriore nella storia dell'ipocrisia. Qualcuno veramente ha pensato che i partigiani fossero TUTTI eroi, che nessuno abbia profittato del caos post-bellico per regolare sue "piccole storie ignobili", citando Guccini contro lui stesso (visto che quelle gucciniane sono storielle sordide borghesi) e, dirò di più, che questo non sia un comportamento semplicemente umano, condannabile sì, ma non in chiave politica? E' facile ergersi col senno di poi, ma come grida l'eroe della resistenza olandese, non solo per giustificarsi ai suoi stessi occhi ma per enunciare una semplice verità, "credi sia facile scegliere tra una pallottola in testa e il tradimento?" In queste vicende c'è tutta l'incapacità descrittiva e il potenziale fuorviante dell'atteggiamento universalista, per cui un'etichetta assolve o condanna tutti i suoi portatori, indipendentemente dalle altre etichette che possono o meno avere, scelte o imposte che siano. Verhoeven mescola incessantemente il mazzo: resistenti razzisti, nazisti degni, eroi vigliacchi, prostitute eroine e via discorrendo, in una serie di colpi bassi alla sensibilità anestetizzata di questo tempo, che non posso che salutare con entusiasmo!
Carice van Houten

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