domenica 6 maggio 2007

Volevo iniziare con un PS al post di ieri su Johnny Cash. Ho dimenticato di riconoscere i grandi pregi della recitazione di Joaquin Phoenix e Reese Witherspoon e soprattutto di esclamare: "Ma ve lo immaginate andare a una serata dove suonano Elvis, Jerry Lee Lewis, Roy Orbison e Johnny Cash, tutti insieme!?!?!"
Dopodiché passiamo alla mattinata odierna, passata al riparo daiUno degli splendidi vasi di fiori di Chagall temporali al Vittoriano, alla mostra di Chagall. Mostra che lascia un buon sapore in bocca e una luce splendida negli occhi. Più passa il tempo e più mi è chiaro perché adoro Chagall - e stavolta il video di Moni Ovadia mi ha aiutato parecchio a mettere a fuoco la questione, come anche delle frasi dell'autobiografia: perché ritiene che gli altri - e parliamo delle mitiche avanguardie parigine, non deiGli innamorati contemporanei! - siano troppo intellettuali, che la pittura e l'arte abbiano un loro vocabolario fatto di immagini e colori... Chagall è un pittore veramente immaginale, senza psicologizzare o simbolizzare! È il pittore delle linee curve che svaporano nella luce, dei colori che debordano, dei mazzi di fiori come fuochi d'artificio, dell'innocenza e del dolore. E la mostra restituisce questa dimensione con fedeltà un po' disordinata, quasi a replicare l'affollarsi dei tetti di Vitebsk o dei personaggi circensi variamente piroettanti. Non solo. La purezza azzurra di Chagall si squarcia al rosso della guerra e dell'Olocausto e del lutto - anni orribili per un povero violinista russo - e crea lo strappo metafisico della Caduta dell'Angelo, una delle tele più potenti che abbia mai visto, che mi ha fatto tornare alla mente le oscene maschere di Mafai, attingendo però a un vertice di evidenza e rivelazione quasi sovrumano.
La caduta dell'angelo

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