domenica 17 dicembre 2006

Apprezzare [la ricerca dell’inutile], darle un valore, è difficile, perché perfino la conoscenza rientra oggi in una logica politico-economica. Per tutta la filosofia progressista del XIX secolo, “sapere è potere”. Il pensiero non vale più per se stesso, ma viene messo in rapporto a un fine che gli è estraneo: il potere sulle persone (politica) e sulle cose (economia). Si ritrova in questo il fondamento dei grandi sistemi elaborati nella modernità, marxismo, freudismo, positivismo, che vogliono, in ultima analisi, legittimare l’azione che si può esercitare su se stessi: l’economia dell’io (freudismo), o sul contesto sociale: l’economia del mondo (marxismo, positivismo). In ognuno di questi casi, “potere” o “fare” è l’extrema ratio del pensiero. E non c’è che da vedere l’ossessione della professionalizzazione a tutti i livelli dell’educazione, università compresa, per rendersi conto del cammino percorso dall’ideologia, la cancrena – diranno alcuni – dell’utilitarismo. Non dimentichiamolo, nella tradizione antica la scholè era “l’ozio studioso”, l’otium senza utilità immediata, contrapposto al negotium che era, lui, proprio dell’azione servile.

M. Maffesoli, La transfiguration du politique. La tribalisation du monde postmoderne, Paris, La Table Ronde, 2002, p. 170.

2 commenti:

  1. Maffesoli ha sicuramente colto nel segno, però per quanto mi riguarda ho sempre fatto solo cose totalmente inutili ai fini razional-economici (e si vede), trà l'altro ne vado assolutamente fiero.


    GiaNluC

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  2. mmmm...

    che "bei" ricordi Maffesoli...argh!

    Irene/Zora

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