lunedì 23 gennaio 2006

Ritratto di Mallarmé di Manet
Altro gran momento, Parigi seconda metà XIX secolo! Gente che si incontra per parlare, per discutere, per farsi ritrarre da amici, gente che si chiama Manet, Monet, Mallarmé, Baudelaire, Poe, gente così Che poi ti lascia storie di sé in tante forme diverse, che a vederle oggi, ottenebrati da jpg, tiff, mpeg e tutte le altre nostre fregnacce, sembrano roba di un altro mondo. E lo sono, solo che quello che non è più chiaro è se fosse un mondo migliore
Foto di Maneto peggiore. Certo, vedere lo stesso soggetto come bozzetto a matita, acquaforte, acquatinta, litografia o quadro fa un discreto effetto. Ti parla di maestria, di passione e di voglia di sperimentare, di scoprire dove puoi arrivare per esprimere quella cosa che ti gira in mente e nella quale vedi molto più di quanto non sembri, un torero morto, un ritratto di donna, una chitarra e un cappello. E di nuovo un intreccio, lasco ma pur sempre lì, con un pittore incontrato per caso ad Amsterdam l'anno scorso, un suo quadro riaffiorato dalle strade del mondo per portare anche a Roma il verde incredibile del mare che Manet sapeva trarre dalla sua tavolozza,
Canto di giardino di Manetmesso lì accanto ad altre azzurrità, tutte radiose, radianti, pervase di luce. E allo stesso tempo materiali, concrete, come le lame di rame ancora inchiostrate, le pennellate dense. Pissarro ha detto di lui "Sapeva trasformare il nero in luce"... Un ingegno irrequieto, quasi schizoide nel variare stile e tecnica, donnaiolo, polemista, ardente, tanto da morire a cinquant'anni. Un gran bel tipo e la solita invidia per un'arte e un tempo in cui il miracolo della luce e dello spiraglio che trovava nei quadri era affare di cose e colori, e mani sapienti.
Le rondini di Manet

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