domenica 29 gennaio 2006

Match PointSto leggendo di nuovo L'isola del tesoro e non sono riuscito a sottrarmi al fatidico saggio introduttivo, che - tanto per cambiare - mi offre però un buono spunto per discorrere di questa ultima visione Pare che una delle critiche più spesso rivolte all'opera di Stevenson sia la mancanza di spessore, quello che l'autore del saggio definisce "subtextual matter". Ecco, questo non è decisamente il caso di Match Point! Appena oltre la trama evidente guizzano stimoli, fantasmi, livelli di lettura che ne rendono l'esegesi un lavoro tutt'altro che semplice, che meriterebbe però un'attenzione diversa da quella di un post, per quanto articolato. Cmq, visto che una delle possibilità interpretative incide direttamente su parecchie cosette che ho già pubblicato qui, mi dedicherò a qualche riflessione in proposito. Il film tende alla tragedia: non in senso figurato, ma classico di composizione sul fato e il suo giocare con le vite degli uomini. Tra le battute chiave, proprio all'inizio, nel commento sul match point, ce n'è una che suona più o meno "La fortuna terrorizza gli uomini", perché sbatte loro sul viso la loro totale (o quasi, va'!) assenza di controllo sulle proprie vite e perché è assolutamente amorale. Nel dialogo con i morti (topos tragico per eccellenza) il tennista macerato dichiara che sarebbe giusto che venisse scoperto e condannato, poiché questo
Scarlett Johansonrestituirebbe al mondo una minima possibilità di giustizia e coerenza, cosa che - ahimé! - non è... Il problema, però, è altrove: è nella pretesa che il mondo si muova a norma di ideali, magnifici per carità, ma che gli stessi uomini che li hanno concepiti disprezzano e tradiscono quotidianamente, su scale diverse
, ma formalmente identiche. La realtà, ben lungi dall'essere razionale o teleologica, semplicemente è, cosa che i Greci avevano compreso alla perfezione, tanto da poter ragionare in termini di equilibrio dinamico tra gioia e dolore. Come afferma Colli, "quando un pezzo di vita sottratto alla pena controbilancia tutto il resto, il pessimismo è vinto" e il conto è paro, si potrebbe aggiungere. Circostanza che noi occidentali, intrappolati nell'idea di colpa - e quindi di responsabilità totalmente personale per i comportamenti e le conseguenze - non riusciamo neanche lontanamente a concepire. L'impronta giudeo-cristiana richiede necessariamente l'inferno e la sua scomparsa dal senso comune, assieme al purgatorio, racconta una storia che andrebbe disvelata, cui Match Point accenna, nella sofferenza priva di riscatto del lestofante salvato dalla sorte e nella complessiva assenza di leggerezza e gioia di vivere. Poi si potrebbe parlare dell'incosciente ferocia di classe dei giovani Hewitt, delle tracce letterarie e musicali (le prime che puntano tutte verso il tragico, Dostojevskij, Strindberg, Sofocle), della scrittura dei dialoghi e delle espressioni degli attori... Direi che per il momento basta così.

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