sabato 2 aprile 2005

Che ci crediate o no, non lo faccio apposta! O meglio, un po' sì, ma non così  Stasera volevo chiudere un arabesco che si era aperto con Johnny Mnemonic e Neuromancer (vedi 27 marzo), ma non avrei mai creduto di ritrovarmi un'altra volta fra i piedi Paul Giamatti. Fino a due settimane fa non sapevo neanche chi fosse e adesso ho visto buona parte della sua filmografia, mah

Insomma, devo confessare un paio di pregiudizi in proposito: Ben Affleck mi allappa piuttosto e, quel che è peggio, Uma Thurman non mi piace!!! Ok, crocefiggetemi pure: non dico che non sia brava, per carità, però esteticamente non mi dice granché, sebbene nei Kill Bill... Ad ogni modo, posta questa cosa, il film non è male. Bel ritmo, lui discretamente espressivo, lei brava, gli altri all'altezza. La storia, basata su un racconto di Philip K. Dick, è ben costruita, con i soliti inseguimenti auto-moto, auto-auto, auto-camion etc. che i sindacati degli stuntmen americani non si fanno mai mancare

E a proposito di ritmo, e visto che mi sento in vena di recuperi, un film che di ritmo manca in maniera clamorosa, tanto da spingere a un caveat grosso come una casa, è questo:

non starò a dirvi tutti gli incroci cui potrebbe portare, visto il cast stellare, ma solo che le scelte di regia sono a dir poco catastrofiche e che definire le parti meditate stucchevoli è gentile ed eufemistico. Ciò non toglie che alcune scene e alcuni ruoli - in particolare Sean Penn e Nick Nolte - siano memorabili. Jim Caviezel, invece, sembrava già Cristo, con svariati anni di anticipo.

Sulla faccenda del ritmo, poi, bisogna discutere: non dev'essere necessariamente indiavolato in perfetto stile videoclip, che fa tanto in, di quelli che a stento distingui un fotogramma dall'altro. No, piuttosto deve essere coerente, assecondare una scansione musicale, che può essere lenta e solenne o rispondere a un prestissimo, ma non deve incepparsi, come invece qui accade spesso e volentieri.

Due interessanti esempi di ritmi poco contemporanei, ma che rivelano una grande regia (tanto per spendere due parole anche per i registi - quello di Paycheck per cronaca è il grande John Woo) sono gli ultimi di cui discorrerò stasera.

Questo, di Wes Anderson, ha anche lui un cast stellare e ci ha lasciati a bocca aperta per tutta la sua durata. Di non facile digestione, il retrogusto però si rivela lentamente piacevole e il ricordo migliora col tempo, come un buon vino. Movimenti di macchina quasi inesistenti, recitazione "artificiale", impostata e tutto sommato magistrale, più una serie infinita di preziosismi e trovate.

Discorso del tutto diverso invece per l'ultimo film di Manoel de Oliveira - oddio, forse nel frattempo ne ha girato un altro! - beh, comunque, anche qui regia rigorosa, macchina statica, quasi memore delle regie giapponesi descritte da Wenders in Tokio-Ga, cast anche qui superbo e tentazioni teatrali. Parecchia nostalgia, ma il film ha una sua coerenza semionirica. Di non facile assorbimento, da meditazione.

1 commento:

  1. .... si lo so.. ma non ho voglia di loggarmi, ho sonno e sono annoiato, avrei da scrivere un po' di cose ma mi si chiudono gli occhi.. comunque:


    Uma... è proprio brutta, lasciamo stare eufemismi o riprese in extremis grazie al quadro creato da effetti cinematografici... è brutta e basta... brava!!! ma brutta.

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